lunedì 8 marzo 2010

GRAN TORINO

Un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bee Vang
Azione, 116 min. - USA 2008





“Avete mai fatto caso che ogni tanto si incontra qualcuno che non va fatto incazzare? Quello sono io...”

A seguito della morte della moglie, Walt Kowalsy (Clint Eastwood) sprofonda in una desolante solitudine, a causa dei pessimi rapporti coi figli e della mancanza di amicizie. La sua vita è fatta di lattine di birra, la compagnia della sua cagnetta, la passione per la sua Ford Gran Torino d'epoca, e un costante disprezzo per tutto ciò che è a lui diverso, per etnia o per età. Quando, una notte, salva da una aggressione il giovane Thao, componente di una famiglia cinese che abita nella casa accanto alla sua, e verso la quale Walt non perde mai occasione di mostrare ostilità, diviene l'eroe del quartiere. L'anziano comincia pianamente a cambiare atteggiamento verso la comunità asiatica, facendo da tutore a Thao, fino a salvaguardare l'incolumità dei suoi nuovi, inaspettati amici.


Il vecchio Clint si conferma, dopo averci regalato pellicole del calibro di “Mystic River” e “Million Dollar Baby”, tanto per citarne alcune, uno dei più grandi registi (e interpreti) viventi.“Gran Torino”, segna il proseguimento della sua cine-meditazione sociologica/filosofica/metafisica sulla civiltà odierna. Una meditazione che oggi, con questa sua nuova uscita, si è fatta sociologica in primis, dato che il film comincia a strutturarsi trattando della diffidenza e del pregiudizio verso ciò che (apparentemente) non fa parte di noi, incarnato qua nel vicino dagli occhi a mandorla. Ma dire che il regista si è fermato a questo punto, sarebbe riduttivo, e non possiamo ignorare i continui riferimenti alla solitudine senile e allo scetticismo religioso, per non parlare della psicologia da reduce di guerra, che offrono interessanti spunti dell' Eastwood-pensiero. Temi “pesanti”, temi che il protagonista affronta inizialmente con un atteggiamento chiuso,ombroso, ma che, come in un romanzo di formazione in versione terza età, progressivamente ha modo di comprender meglio, per così giungere a una posizione agli antipodi da quella di partenza. Senza tediar troppo lo spettatore, grazie a parentesi ironiche sparse qua e là (Eastwood pare faccia il verso a numerosi personaggi che ha interpretato quando fa il gesto della pistola con la mano), ma non riuscendo a evitare di scivolare in qualche grossolana forzatura, vedi i figli di Kowalsky: così cinici e occasionasti, ai limiti delle caricature familiari de “I Simpson”. Da buon cowboy, Eastwood sa bene come aggiungere pepe alla sceneggiatura, e lo si avverte bene nell'ultima, cavalcante, mezz'ora, e il disattendere una conclusione alla “Gli Spietati”, nella forma ma non nella morale, gli rende onore. Forse è un film più “facile” di altri che ha fatto, ma il messaggio di speranza che ci lascia quando scorrono i titoli di coda è fortissimo, come poche altre volte nella sua filmografia .

VOTO: 7,5

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