venerdì 12 marzo 2010

THE HURT LOCKER

Il deserto nel cuore del soldato

Regia di Kathryn Bigelow. Con Jeremy Renner, Anthony Mackie, Guy Pearce, Ralph Fiennes.
Drammatico, 131 min. - USA 2008



“...lanci il dado, e non sai come va...”

Irak. Il soldato William James (Jeremy Renner) è chiamato sul fronte in sostituzione di un collega, deceduto mentre svolgeva la sua stessa, pericolosissima, funzione: quella del disarmo delle bombe. James è, infatti, un artificiere. A fiancheggiarlo nelle sue manovre, ci sono il sergente Sanborn (Anthony Mackie) e il soldato Eldridge (Brian Geraghty). James , a dispetto del suo precedessore, pare non badare molto alle doverose prassi e precauzioni che comportano il delicato compito, ponendo a repentaglio così anche la vita dei suoi compagni più vicini: cosa che, ovviamente, non gli accattiva molte simpatie, soprattutto da parte di Sanborn. Man mano, fiancheggiandosi in numerose missioni, il trio comincerà ad entrare in sintonia e, infine, ognuno svelerà la propria natura nei confronti della guerra.

La regista Kathrin Bigelow, la 'maschiaccia' della macchina da presa ('Strange Days', 'Point Break'), parte dall'elaborato del giornalista d'inchiesta Mark Boal per ergere un film di guerra dai chiari intenti introspettivi/psicologici. Un esame nel quale si addentra solo verso la seconda ora (abbondante) del film, forse con un poco di ritardo. Certo che, i primi 70 minuti, senza elevarsi a cime epiche del genere, sono pervasi da una costante tensione sottocutanea, anticipata già in apertura dal battito di un cuore. Brava con inquadrature e zoomate (azzeccate nel contesto), penetrante la scenografia, la Bigelow fa comunque breccia meglio nel dipingere una sparatoria fra cecchini nel deserto, piuttosto che nel rappresentare ciò che costituisce il tema principale della sua fatica, ovvero il disinnesco delle bombe, dove tira aria un po' di scontato. Il soldato James può apparire un personaggio da film d'azione degli anni '80 in principio, ma è probabilmente proprio lui a trascinare la regista al trionfo negli Oscar. Insensibile al pericolo, si disfa di una tuta da astronauta che pretenderebbe proteggerlo da uno spazio alieno, minaccioso, ed entra in pieno contatto con le sue “amichette”. E mentre parla con la bomba che potrebbe polverizzarlo, attorno a lui c'è chi si preoccupa di qualche iracheno con la videocamera. Tanto geniale nel suo ambito, quanto non a suo agio nelle relazioni con gli altri: vedi i costanti, forzati, “Sto scherzando”, vedi la moglie e il figlio abbandonati da qualche parte negli States. E qua si vede l'uomo. Lo stesso (piccolo?) uomo che si piega sotto l'acqua della doccia, costretto a fare i conti con quella spietata “unica cosa che ama”, quella unica cosa che un giorno potrebbe portarlo in un bianco “magazzino della morte”, come il collega Thompson. Tanto geniale nel suo ambito, quanto impacciato nel mettere prodotti alimentari in un carrello. Se sia Eldridge, che pare pavido già fin dalle prime battute, che Sanborn, che capitola moralmente verso la fine, dinanzi all'orrore, sognano il ritorno a casa, il nostro artificiere è fatto di pasta diversa, e sogna l'esatto contrario. La Bigelow nel suo film non vuole nemmeno più di tanto giudicare o denunciare, quanto raccontare un'altra realtà che si cela nelle guerre: la dipendenza da adrenalina provocata dall'azione di guerra, dal vivere una vita da funamboli, dell'oggi ci sei, domani no. Ed ecco che James ci ricorda una versione (chiaramente più lucida mentalmente) di Nick de 'Il Cacciatore' di Cimino, schiavo della roulette russa. La regista finisce per calcare terreni già battuti in precedenza da alcuni grandi film bellici? Diciamo che se non li calca, ci si accosta parecchio. Motivo per il quale, premiare 'The Hurt Locker' con 6 Oscar, per quanto convincente, pare un pochetto eccessivo.

VOTO: 7

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