giovedì 6 maggio 2010

DEPARTURES

Death in Japan

Regia di Yojiro Takita. Con Masahiro Motoki, Ryoko Hirosue, Tsutomu Yamazaki.Drammatico,130 min. - Giappone 2008




“Con la morte non finisce niente. E' un cancello che si deve attraversare, per proseguire il viaggio...”

I sogni del giovane violoncellista Daigo (Motoki Masahiro) finiscono in mille pezzi, il giorno in cui la sua orchestra viene sciolta per mancanza di seguito. Rimasto disoccupato, decide di lasciare Tokio e trasferirsi nella suo piccolo paese natale, nei pressi di Yagamata, accompagnato dalla dolce moglie Mika (Hirosue Ryoko). Messosi subito alla ricerca di un nuovo lavoro, s'imbatte in un annuncio di un'agenzia che si occupa di “viaggi”. Quando però affronta il colloquio davanti al gelido Sasaki (Yamazaki Tsutomu), si rende conto che i “viaggi” non hanno nulla a che fare con spiagge caraibiche o città d'arte, bensì che l'agenzia in questione si occupa della cura estetica dei defunti prima della cremazione: il rito giapponese del nokanshi. Sebben con non poca incertezza , decide di divenire assistente di Sasaki. Si lascia così, pian piano, affascinare da questa raffinata arte, che però rischierà di lasciarlo isolato, abbandonato dai vecchi amici e da Mika, che vedono di mal occhio la nuova professione di Daigo.

Il giapponese Yojiro Takita si è aggiudicato quest'anno, un po' a sorpresa, l'Oscar come Miglior Film in Lingua Straniera, grazie appunto a questo 'Departures'. Opera che gira attorno ad un nucleo tematico importante, generalmente poco trattato dalla stragrande maggioranza della produzione cinematografica, probabilmente per l'essere mal affrontabile e poco appetibile alle platee (al di fuori dell'ottica horror): il trapasso. Takita ci immerge in un mondo nuovo per noi occidentali; in Giappone, la pratica del nokanshi, del 'trucco' del morto, al fine di renderlo presentabile per il definitivo commiato ai cari, è assai diffusa. La fine del sogno di Daigo e della realizzazione dei suoi limiti artistici, fanno raccordo con la scoperta di un nuovo talento del protagonista, paradossalmente legato alla fine della vita. E' su questo ponte, che il regista gioca ad intrecciare le vicende dell'ex-violoncellista. Ma al di la' delle curate scene dei riti, contraddistinte dalle armoniose movenze dei celebranti, reminiscenti in qualche modo le forme del Tai-Chi, di un montaggio curato e 'orientale', e della prova di sicuro fascino di Tsutomu nei panni del capo Sasaki, il film, dopo la prima ora, comincia a trascinarsi male alla conclusione, per colpa di una trama priva di reali momenti d'interesse. Takita tenta di combattere la noia con una direzione effettivamente poetica, aiutato anche da una colonna sonora 'classica' e drammatica, ma in fin dei conti, anche quando arriva al sodo, ovvero sul pronunciarsi su questo famoso nucleo tematico prima accennato, lo fa in modo vago, e ricorrendo ad un filosofeggiare da 50 lire (vedi la morale del vecchietto del forno crematorio). Come elementi per la crescita interiore di Daigo, rimane più impresso quel rapporto con il capo Sasaki, maggiormente curato della essenziale love-story con la moglie e quella figura del padre che lo ha abbandonato da piccolo, un po' fine a sé stessa. Alla fine, Takita ha trionfato davanti all'Academy più per il coraggio di andare a toccare una tematica oscura con disinvoltura (e pure con un pizzico di humour macabro), che per altro.

VOTO: 6,5

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