giovedì 22 aprile 2010

SHUTTER ISLAND

Il viaggio allucinante del Signor Scorsese nella follia

Regia di Martin Scorsese. Con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams
Drammatico, 138 min. - USA 2010



“Dio ci ha dato la violenza per compierla in suo nome”

1954. Due agenti federali, Edward Daniels (Leonardo Di Caprio) e il suo assistente Chuck Aule (Mark Ruffalo) vengono inviati in missione a Shutter Island, dove si trova una casa di igiene mentale all'avanguardia per criminali con elevato tasso di pericolosità. Loro compito è fare luce sulla scomparsa di una madre infanticida, misteriosamente dileguatasi, una notte, dalla propria cella. A far guida agli agenti nell'Ashecliff Hospital è il primario dell'istituto, il dottor John Cawley (Ben Kingsley), oggetto spesso di critica da parte di Edward per la scarsa disponibilità a fornire elementi d'indagine necessari per la prosecuzione del caso. Edward, sempre più tormentato da incubi e ricordi del passato, fiuta che qualcosa di molto inquietante si nasconde in realtà a Shutter Island...

Lontano dalle ambientazioni gangsteristiche che tanto lo hanno reso celebre, Martin Scorsese si dà al thriller psicologico, rileggendo in chiave cinematografica l'opera letteraria di Dennis Lehane, 'L'isola della paura', edito nel 2003. Il nome 'Martin Scorsese' è indubbiamente un sigillo di qualità, e 'Shutter Island' non fa eccezione alle legge del Maestro. Sebbene alle prese con materiale che ha pochi eguali nella sua filmografia, fin dalle prime battute riesce a far scivolare lo spettatore in un scenario allucinante e claustrofobico, grazie, ancor più che alla presenza di anime dannate che vagano davanti la sua cinepresa, ad un sapiente utilizzo di effetti luce disorientanti, e poderose manifestazioni della forza della Natura. Semmai risulta goffo, quando scimmiotta David Lynch nelle visioni oniriche di Edward: le scene sono carenti di una certa aria estatica. Scorsese, come a ben vedere ha dato dimostrazione in molti dei suoi lavori nel corso della lunga carriera, risulta molto più capace nel raffigurare la mera realtà che diviene incubo carico di adrenalina (à la 'Cape Fear'), piuttosto che nel rappresentare il sogno vero e proprio. Non a caso, una trama enigmatica ci traspone man mano negli oscuri meandri della mente, e la suspance si mantiene costante per tutta la durata di 'Shutter Island'. Senza accennare troppo agli sviluppi finali della storia, la vicenda di Edward è una tragica spirale discendente di un uomo ferito divenuto abominio (“Le ferite generano mostri”). Scorsese semina indizi qua e là nel corso delle due ore, ma la sua maestria si palesa nel lasciare fino all'epilogo il dubbio di quale sia la vera strada interpretativa della pellicola. Leonardo Di Caprio, sempre più attore feticcio di Scorsese, a volte non pare del tutto spontaneo, nei momenti più drammatici, nei punti più caldi. Meglio dunque il solido Ruffalo. Colonna sonora (giustamente) priva di quel rock 'n' roll al quale ci ha abituato il regista, che lascia spazio a una più consona classica.

Se l'obiettivo di 'Shutter Island' non è ambire all'analisi della malattia mentale di un 'Qualcuno volò sul nido del cuculo', bensì allo spargere macchioline d'inquietudine nello stato d'animo dello spettatore, allora si può ben considerare diverse spanne al di sopra della miriade di ridicoli film horror che infestano le nostre sale.

VOTO: 7,5

mercoledì 14 aprile 2010

Al cinema dal 09/04



Con un po' di ritardo, le uscite settimanali. Fra le tante, interessanti prime visioni,occhio al premio Oscar nella categoria "Film Straniero", 'Departures'...

.Basilicata coast to coast
.Il cacciatore di ex
.Departures
.Green Zone
.Piazza giochi
.Una proposta per dire si'
.Sunshine Cleaning
.L'uomo nell'ombra

CRAZY HEART

Quando Jeffrey Lebowsky incontra Randy The Ram

Regia di Scott Cooper. Con Jeff Bridges, Maggie Gyllenhaal, Colin Farrell
Drammatico,112 min. - USA 2009



“ 'Vedremo' a casa mia...vuol dire di no.”

Per le strade degli Stati di frontiera degli USA si trascina, da un piccolo club all'altro, un dinosauro del country, nome in arte Bad Blake (Jeff Bridges). Bad, 57 anni, è alcolizzato, con 4 matrimoni alle spalle e un figlio, da qualche parte nel mondo, che nemmeno conosce. La sua carriera è sull'orlo del baratro, a differenza di quella del suo vecchio pupillo, l'odiato Tommy Sweet (Colin Farrell), che riempe arene ed è preso d'assalto dalle ragazzine. A risvegliarlo dal sopore, dal disinteresse per una esistenza sempre più avviata ad una conclusione tragica, ci pensa la dolce Jean (Maggie Gyllenhaal), una giornalista che lo avvicina per un'intervista, e per il quale comincia a nutrire un sentimento che da tempo immemore non provava...

A chi interessasse, si tratta della trasposizione per il grande schermo dell'omonimo romanzo di tale Thomas Cobb. La scelta del regista esordiente Scott Cooper di affidare il ruolo di protagonista per 'Crazy Heart' al caro vecchio Jeff Bridges si è rilevata particolarmente fortunata, dato che ha fruttato, all'attore classe 1949, il tanto ambito Oscar come Miglior Attore Protagonista. In effetti, chi se non Bridges, per interpretare il ruolo di una vecchia gloria della musica country, oramai sul viale del tramonto, lui che è rimasto nell'immaginario collettivo come 'Drugo' de 'Il Grande Lebowsky' ed ha effettivamente realizzato un album country, qualche anno fa? Nemmeno Cooper se la sente di far finta di niente, tanto che l'apertura del film in un bowling sperso nel deserto è più che una citazione. Ma, più che seguire come modello la mitica tragicommedia coeniano, il regista sembra infine rifarsi a un altro film, che l'anno passato ha suscitato i pareri positivi della critica, cioè 'The Wrestler'. Ma a dispetto del gioiello di Aronofsky, la quale trama del “fallito che si redime” era sì lineare, ma sempre graffiante, pronta a sferrare colpi mozzafiato alla bocca dello stomaco, qua i fendenti scarseggiano, la traccia non regala nessun particolare colpo di scena, e ci viene riproposta la solita love-story, un patema trito e ritrito, fotocopiato da chissà quale dei centiania di film sentimentali americani. Addirittura il finale, pare una pubblicità progresso contro l'abuso di alcolici. Fortuna che ci pensi proprio Bridges (ma si badi bene, anche Farrell, che la sua particina la fa veramente bene), con la sua performance drammatica, e la colonna sonora (sarebbe stato grave altrimenti) a colorare quelle parti di film in chiaroscuro. L'allettante elemento del road-movie, costruito sull'asfalto caldo e sullo whiskey, dove si avvolge la debole trama, può costituire un altro punto a favore, per un film che, probabilmente, faceva sperare in qualcosina di più.

VOTO: 6


La canzone principale del film, anch'essa premiata dall'Academy, si intitola "The Weary Kind", ed è di Ryan Bingham. Di seguito, il link del video.

http://www.youtube.com/watch?v=NIJTU9iY2iA

giovedì 1 aprile 2010

IL PROFETA

Un romanzo di formazione...criminale

Regia di Jacques Audiard. Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif
Drammatico,150 min. - Francia, Italia 2009



Storia del diciannovenne Malik El Djebana (Tahar Rahim) , condannato a 6 anni di carcere, per un crimine che non c'è dato sapere. Dai primi mesi travagliati, in solitudine e in debolezza, all'iniziazione da parte di mafiosi corsi, anch'essi detenuti, che lo costringeranno a uccidere un altro prigioniero. La progressiva ascesa nei ranghi della cosca sotterranea, la scuola dove impara a leggere e scrivere, le pericolose missioni durante i permessi premio per buona condotta. Entrato con qualche spicciolo, con stracci come abiti, senza alcun interessato a fargli visita, uscirà dalla casa di pena completamente “riformato”.

“Il profeta” parte da una gelida critica al sistema carcerario, stando ben attento a non strizzare troppo l'occhio ai facili espedienti del genere, per raccontarci la storia della formazione del giovane Malik. E che formazione. Jacques Audiard vuole raccontare come, in gattabuia, al di là delle scuole comprensive interne, dove si lavora con quaderno e penna, la materia che meglio si apprende è quella criminale. In effetti, la vita del giovane detenuto si evolve a doppio binario: da una parte, sul binario “buono”, Malik impara l'alfabeto, conosce il significato dell'amicizia, saggia l'emozione del primo volo d'aereo; dall'altro, sul binario “cattivo”, Malik ha a che fare con traffici di sostanze stupefacenti, pistole, omicidi. Ed è proprio il secondo binario, come bene s'intuisce nella scena finale, ad avere la meglio, in un simile, subdolo, contesto. L'aspetto che più colpisce è probabilmente la lucida spietatezza con la quale i meccanismi malavitosi si svolgono. Lucidissima, perché Audiard, forse aiutato anche da conversazioni che si alternano in 3 lingue diverse e garantiscono una tenuta forte con la realtà, adotta quasi un approccio documentaristico all'argomento. Marsigliesi, regolamenti di conti, mandate di droga da Marbella: siamo di fronte a uno spaccato della criminalità odierna. Con, comunque, qualche concessione più cinematografica: le conversazioni con un fantasma in cella, le azzeccate rappresentazioni oniriche (quasi in stile surrealista), una sparatoria all'americana. Stesso discorso per quanto riguarda il montaggio: una ferrea linearità, fatta tra l'altro di bei primi piani, rotta a sprazzi da un intercalare più pulp. A ben vedere, l'unico vero rimprovero che si può muovere al regista, è quello di mischiare un po' troppo le carte del mazzo, nelle due ore e mezzo di film, correndo il rischio di disorientare lo spettatore. Un formato più smart, avrebbe reso i suoi significati (ancor) più diretti al cuore.

VOTO:7