mercoledì 30 novembre 2011

LO STRANIERO SENZA NOME

(High Plains Drifter) Di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood. USA 1973. Western, 105 min.



Un misterioso pistolero arriva nel piccolo villaggio di Lago. La comunità è terrorizzata dal fatto che tre banditi, i quali in precedenza avevano brutalmente ucciso a frustate lo sceriffo di Lago, stiano per essere rimessi in libertà. Per contrastare una probabile ritorsione, il sindaco del villaggio decide di assumere il pistolero per difendere la propria gente. Tutto non andrà esattamente come prospettato.
Il primo western girato da Eastwood non aggiunge di prima occhiata molto di nuovo al genere. Battute e personaggi sembrano estratti dal minimo comune denominatore delle pellicole dalle pistole fumanti e dai polverosi saloon. Eastwood fa il solito gradassone, sia quando fa tuonare il revolver che quando sta sotto le coperte con una pulzella. Eppure c'è un qualcosa di tremendamente sinistro, qualcosa di simpaticamente diabolico, che pervade l'aria di Lago. Grazie a questo lato pieno di ombre, l'Eastwood regista dà tinte gialle ad una struttura classica, che culmina con una vendetta furiosa, arcaica. Un indice puntato contro il bigottismo di campagna, in un film sporco dove le figure positive latitano.

★★★*☆☆
3,5/5

domenica 27 novembre 2011

STRADE VIOLENTE

(Thief) Di Michael Mann. Con James Caan, Tuesday Weld, James Belushi. USA 1981. Criminale, 118 min.



Frank, mago della rapina che ha appreso i ferri del mestiere in gattabuia, è stanco di correre rischi e progetta un ultimo grande colpo, prima di dedicarsi ad una vita più limpida, al cui centro vi è un progetto familiare accanto alla bionda Jessie. Il colpo va a segno, ma l'organizzazione criminale per il quale ha svolto il lavoretto ha piani diversi per il futuro di Frank.
E' con "Thief", 1981, che Mann si affaccia per la prima volta al tanto caro soggetto criminale, che poi continuerà a trattare nel largo della carriera ("Heat: la sfida", "Collateral", "Nemico Pubblico"). In un lavoro che esala un forte odore eighties, Mann narra sì di una storia antica, quella del crimine che non paga, ma esamina pure di come, una volta "marchiati", sia impossibile risalire le acque di tale stagno torbido. Lo fa in modo quasi ossessivo, utilizzando tecniche di regia che diverranno poi un suo marchio di fabbrica, combinandote con le musiche dei "Tangerine Dream", e realizzando con cura e in modo spettacolare, eppure verosimile, i momenti centrali di "Thief", ovvero quelli inerenti alla rapina. Mann è inoltre ammirevole per come, pur sfioriando appena la tematica carceraria, riesca a far vivere sulla pelle il dramma del sole a strisce: in modo celato, è su questo binario fantasma che il film compie il suo viaggio. Un viaggio che, nonostante le scene più cariche di adrenalina si svolgano nel finale, non manca mai di pathos, perchè la strada di Frank è una strada violenta, dove non si può mai sapere quale faccia a faccia si possa celare dietro il prossimo vicolo, o un poliziotto corrotto o un amico in cerca disperatamente di aiuto. Nel frenetico epilogo i sogni di Frank vanno in fumo come la sua rimessa di macchine usate, l'esplosione di violenza e di sangue paiono quasi un atto di giustizia divina, a cospetto di tutto il marcio che Mann ci ha sventolato sotto il naso lungo le due ore. Il protagonista è un anti-eroe che semplicemente gioca a scacchi con la Morte, provando invano a rivoltare un destino che lui stesso sa già delineato da qualche misteriosa forza. James Caan sfoggia mille maschere, in una delle più belle interpretazioni della sua carriera; peccato solo proprio per il finale, dove manca un po' di espressività. Sottovalutato, poco conosciuto rispetto ad uno "Scarface", probabilmente il miglior film di Mann.

★★★★*☆
4,5/5

lunedì 21 novembre 2011

POST MORTEM

(Post Mortem) Di Pablo Larrain. Con Alfredo Castro, Antonia Zegers. Cile 2010. Drammatico, 100 min.




Nei giorni del colpo di stato cileno del 1973, un funzionario di nome Mario, il cui compito è quello di redarre le autopsie svolte dai medici, corona il suo sogno d'amore: Nancy, una ballerina dalla carriera in caduta libera, accetta le sue avances. Mentre il lavoro ospedaliero si fa sempre più macabro, Nancy è costretta a nascondersi, braccata dalle forze militari. Mario, all'insaputa dei suoi superiori, le presterà assistenza.
Pablo Larrain è un emergente regista sudamericano, che si è fatto già conoscere nel 2008 grazie a "Tony Manero". Come in quell'episodio, Larrain usa come sfondo di "Post Mortem" la tremenda dittatura di Pinochet. La narrazione relativa i tragici giorni del colpo di stato è in realtà sottile. Larrain pare svogliato, forse disgustato, nello spiegare le ragioni di quel tracollo, limitandosi a impressionare mediante la crudeltà delle forze armate. Quello che in verità lo interessa è investigare sulla natura dell'amore, ponendo il sentimento in uno sfumato contrasto con i relativi poli opposti, quali la guerra e l'odio. Il un risultato che punge e deprime, la scelta di far protagonista un personaggio come il modesto Mario, lontano cugino del capitano Gerd Wiesler de "Le vite degli altri", che cerca rifugio nella passione da una monotona e opprimente esistenza, risulta felice. Qualche momento lento e alcune scene un po' testarde, per un film che comunque merita.

★★★*☆☆
3,5/5

martedì 15 novembre 2011

CONTAGION

(Contagion) Di Steven Soderbergh. Con Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet, Jude Law. USA 2011. Thriller, Catastrofico, 105 min.




Un virus sconosciuto proveniente dall'Asia scatena nell'intero mondo un'epidemia senza precedenti. Mentre l'OMS cerca disperatamente una cura per la nuova, letale influenza, diversi drammi personali s'intrecciano sull'apocalittico quadro. Quello di un padre vedovo che cerca di proteggere la propria figlia, quello di un blogger pronto a gridare alla cospirazione, quello di una dottoressa d'elite colpita dalla malattia, quello di una studiosa francese rapita allo scopo di ottenere come riscatto il vaccino.
Definito da alcuni come il film horror dell'anno, "Contagion" di Soderbergh fa sue la paure scaturite nel 2009 dal virus H1N1 e materializza sul grande schermo gli spettri della pandemia. E' angosciante il fatto che un simile evento sia tutt'altro che fantastico, ma Soderbergh non ha francamente viaggiato tanto d'immaginazione, mettendo in atto conseguenze piuttosto ovvie. File per un tozzo di pane, linciaggi pubblici, fughe dalle metropoli, predicatori telematici, ritorsioni nei confronti dei poteri forti: pure un burocrate di una cancelleria di un tribunale potrebbe ipotizzare simili scenari. E' bravo quando alterna la regia cavalcante da thriller a quella più da notiziario, oppure addirittura a quella da videoclip, ma pure gli zoom sui micromondi familiari scadono nel patetico. Sebbene si avvalga di attori più che affermati, nessuno di essi si fa notare in particolare. Più che pandemia, un po' pattume.

★★*☆☆☆
2,5/5

domenica 13 novembre 2011

CURE

(Kyua) Di Kiyoshi Kurosawa. Con Kôji Yakusho. Giappone 1997. Thriller, 115 min.



Tokyo. Numerosi casi di omicidio si verificano in serie, tutti accomunati dallo stesso particolare: alla vittima viene incisa una croce nel petto. I colpevoli sono generalmente persone placide che improvvisamente, senza alcun motivo preciso, assalgono con violenza i propri cari. E' il detective Takabe a ritrovarsi a svolgere indagini su questo bizzarro caso. Gli indizi lo portano sino ad un giovane di nome Mamiya, apparentemente affetto da una patologia che ne limita fortemente la memoria: coloro che si sono macchiati di sangue lo hanno casualmente incontrato prima del delitto. Ma qual è il reale nesso tra questi tragici eventi e Mamiya?
Horror, thriller, poliziesco, psicologico? "Cure" è inqualificabile tanto quanto il protagonista Mamiya. Di sicuro c'è che si tratta di un film il quale, senza dover ricorrere a zombie o a clamorosi effetti speciali, turba come un lavoro di Lynch. E non tanto per la crudezza con cui i malcapitati vengono trucidati, ma per la spirale discendente nel quale sprofonda il detective Takabe e la relazione con la moglie ammalata. Facendo perno sull'ipnosi e sul mesmerismo, Kurosawa ha trovato un campo al confine tra il razionale e il surreale che: 1)è dotato di arcano fascino; 2)ben si presta alle sue congetture rosso sangue; 3)offre la possibilità di rompere la linearità della narrazione. E in effetti, la trama, negli ultimi 20 minuti, si fa decisamente più fumosa. Ma non che sia un difetto, anzi. Lo stile ricorda più quello del film d'autore, che quello degli altri film della stessa categoria, dalla regia certo più frenetica. Un giovane vagabondo smemorato si è fatto specchio per riflettere le più vomitevoli frustrazioni racchiuse nella psiche del genere umano.

P.S.: data la difficile reperibilità, a scopi unicamente culturali indico il link dove è possibile scaricare "Cure" in versione, fra l'altro, sottotitolata:
http://www.megaupload.com/?d=BFX41HIW

★★★★☆
4/5

sabato 12 novembre 2011

MEAN STREETS - DOMENICA IN CHIESA, LUNEDI' ALL'INFERNO

(Mean Streets) Di Martin Scorsese. Con Harvey Keitel, Robert De Niro. USA 1973. Drammatico, 110 min.



Cartoline da Little Italy, New York, anni '70. C'è Charlie, astro nascente della Mala, frenato nell'ascesa dai sensi di colpa e dalle amicizie poco azzeccate. C'è Johnny Boy, irriverente delinquentello sempre nei guai e coi creditori alle calcagne. C'è Teresa, che soffre di epilessia ed è innamorata del cugino Charlie. C'è Michael, impacciato gangster, tremendamente permaloso. Tutti coinvolti in delicati giochi di fuoco. Finiranno per bruciarsi.
Quarto film di Scorsese, primo masterpiece. Riversando in "Mean Streets" quanto visto e vissuto nella Little Italy in cui è cresciuto, il regista italo-americano ci offre uno scanzonato, emozionante mafia-movie a tinte tricolori. Trama essenziale, si sviluppa in tanti episodi memorabili quasi a sè stanti, quando ilari, quando sciagurati. Colpisce la cura con cui leviga psicologicamente i propri personaggi. Attarverso lo splendido Charlie mette a nudo un po' tutte le nostre fragilità, i nostri dubbi (e probabilmente anche dello stesso Scorsese): non esistono strade dritte e comodomente a senso unico, sull'autostrada della vita. E come tralasciare il sublime De Niro, giovanissimo, anche lui alle prime fatiche, nei panni dello schizoide Johnny Boy? Il montaggio è a volte coraggioso, ma, anche con il sostegno di classici pezzi rock del tempo, risulta felice. Ciliegina sulla torta, lo sfondo festaiolo, a caldo, delle celebrazioni di San Gennaro. E' un peccato che contemplazioni così lucide sugli umani impulsi autodistruttivi siano oggi proiettate raramente. Guy Ritchie di maccheroni deve mangiarne.

★★★★*☆
4,5/5

martedì 8 novembre 2011

SPIDER

(Spider) Di David Cronenberg. Con Miranda Richardson, Ralph Fiennes. USA 2002. Thriller, 98 min.



Dennis Cleg, un uomo affetto da una grave forma di schizofrenia, giunge in una struttura di reinserimento sociale per persone disturbate. Il centro si trova nello stesso quartiere dove egli è cresciuto e dove si è consumato il dramma della propria vita. In un susseguirsi di flashback, Dennis rivive quei drammatici giorni, contraddistinti da un morboso affetto provato per la madre e dalla diffidenza rispetto l'insensibile padre.
Cronenberg mette da parte i propri surreali incubi dai rintocchi horror-fantascientifici, spostando lo sguardo con "Spider" verso tematiche sì lugubri ma più ancorate alla realtà. Il mostro stavolta non è nè una mosca gigante nè un qualche superman dai poteri paranormali, ma la società del quotidiano che tiranneggia psicologicamente sul più debole, anzichè essergli di aiuto. La rappresentazione della malattia è molto semplice, spesso monocorde. Il background familiare del protagonista denota punti d'incertezza: che cosa si è rotto tra i suoi genitori di preciso? Cronenberg piace di più quando materializza i fantasmi della vita di Clegg per spargere le carte sul tavolo nel thrilling finale. Poteva essere il suo capolavoro, rimarrà un film svolto con mestiere. Tra gli attori spicca Miranda Richardson in un interessante doppio ruolo (meglio quando interpreta la madre del fanciullo).

★★★*☆☆
3,5/5

giovedì 3 novembre 2011

THIS MUST BE THE PLACE

(This must be the place) Di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand. Italia, Francia, Irlanda 2011. Drammatico, 121 min.



La 50enne rockstar Cheyenne ha messo fine alle proprie fatiche artistiche da ormai 20 anni, nonostante ami ancora curare il proprio "glam look" come ai vecchi tempi. Conduce una vita senza emozioni di rilievo, in stato di depressione latente, assieme alla moglie, in una lussuosa casa di Dublino. La morte del padre, con cui non si relaziona da decenni, lo porta fino negli Stati Uniti. Qua scopre che il padre era ossessionato dalla ricerca di un vecchio ufficiale nazista che lo aveva umiliato ai tempi dell'Olocausto. Cheyenne decide di portare a termine tale compito, intraprendendo un lungo viaggio attraverso gli States.
Sorrentino cerca di sfondare le barriere nazionali, alla ricerca di quello stesso consenso di critica, puntando su un film che vanta l'interpretazione di un attore di fama mondiale, un personaggio principale assai peculiare, e il sempre accattivante sviluppo in on-the-road. Il tema principale potrebbe essere quello del legame familiare, ma a ben vedere è forse lo smarrimento dell'ego in relazione a tale genere di affetto. Tutti i personaggi principali di "This must be the place" brancolano in una triste tenebra, senza saperne bene il motivo, sebbene un caldo raggio di luce irradi lì, a due passi da loro. La formazione di Cheyenne (che deve il suo look a Robert Smith), adulto intrappolato nel suo mito, non illustra però nulla di nuovo, un po' come alcune frasi ad effetto che vengono pronunciate, connotate di poco carisma e difficilmente memorabili. Sorrentino s'ispira evidentemente a Aronofsky ("The Wrestler"). Non resta che godersi le gaffe, o gag, di un personaggio strampalato, buffo, a tratti commovente, che certo egli sì rimarrà memorabile nella filmografia di Penn. Cameo di David Byrne (che ha composto la canzone che ispira il titolo).

★★★☆☆
3/5

martedì 1 novembre 2011

INVICTUS - L'INVINCIBILE

(Invictus) Di Clint Eastwood. Con Morgan Freeman, Matt Damon. USA 2009. Drammatico, 134 min.



Dopo aver vinto le elezioni per la presidenza del Sudafrica, Nelson Mandela studia il modo per cercare di abbattere il muro di pregiudizio che separa i suoi cittadini bianchi da quelli neri. La concomitanza dei mondiali di rugby nel Paese offre la possibità di sfruttare la passione per la nazionale sudafricana come arma di riconciliazione. Piccolo problema: la squadra non brilla certo per risultati. Mandela sprona allora i suoi atleti, inizialmente poco convinti, convincendoli dell'importanza di un eventuale trionfo, chiave per la rinascita.
Il film racconta di come nel 1995 la nazionale di rugby del Sudafrica, da squadra materasso, riuscì ad arrivare sino alla finale del torneo e a battere i favoriti neozelandesi. E' impressionante come Eastwood, negli ultimi anni, non sbagli un lavoro dietro la macchina da presa. La storia di "Invictus" potrebbe, soprattutto nella prima metà, far tirare qualche sbadiglio come la lettura di un polveroso libro di storia. Ciò non accade, perchè l'alternanza tra vicende sportive e politiche, con sullo sfondo lo sviluppo del dramma sudafricano, ispira un certo ritmo di narrazione. Il merito va anche allo straordinario Freeman, per il quale ormai gli aggettivi di elogio sono sprecati. L'adrenalina degli incontri si fonde infine con una commozione pura, palpabile, per un sogno divenuto realtà. Eastwood elabora (e sopratutto insegna) la storia in fotogrammi, dà peso alle parole giuste, e trasmette un messaggio d'amore per la razza umana senza distinzioni.

★★★★☆
4/5