venerdì 29 aprile 2011

A SANGUE FREDDO

(In cold blood) Di Richard Brooks. Con Robert Blake, Scott Wilson. USA 1967. Drammatico, 134 min.



Due ladruncoli di poco conto, Dick e Perry, decidono di unire le forze per mettere a segno il colpo della vita. Un vecchio compagno di cella di Perry, infatti, ha confidato che un agricoltore di una cittadina del Kansas tiene all'interno del suo casolare una cassaforte gonfia di dollari. Nella fatidica notte, però, qualcosa va storto, e i due finiscono col compiere una carneficina. All'indomani, scatta la caccia della polizia.
Tratto dal romanzo di Truman Capote, a sua volta ispirato da un vero fatto di cronaca avvenuto nei primi anni '60. Un viaggio nella subdola psiche umana, dove l'incalzante colonna sonora e il raffinato bianco e nero tengono a braccetto Dick e Perry in una palpitante fuga on the road più da loro stessi che dalle autorità. Lascia il segno soprattutto la personalità del visionario Perry, tormentata da un subconscio infantile e da allucinazioni da incubo, che esplode come una bomba in una polveriera spersa nei campi. Palese l'epilogo, per due facce così perdenti, spiccato da un interrogatorio serrato dove si respira l'aria da ring di boxe. Se Wilson pare il più brillante inizialmente, Blake alla distanza gli toglie le luci dei riflettori, predicando una viscerale follia. Brooks ha dato vita ad un film teso che, dopo più di 40 anni, fa rabbrividire più dei tanti polpettoni horror dei giorni nostri.

P.S.: "Truman Capote: a sangue freddo", del 2006, non si tratta esattamente di un remake del film in recensione, essendo piuttosto una parziale biografia dello scrittore americano.

★★★★☆
4/5

giovedì 28 aprile 2011

IL TEMPO CHE CI RIMANE

(The time that remains) Di Elia Suleiman. Con Elia Suleiman. Gran Bretagna, Italia, Belgio, Francia 2009. Drammatico, Grottesco, 105 min.




Le travagliate vicende della famiglia arabo-palestinese di Elia vanno a braccetto con la storia del proprio popolo: dalla nascita dello Stato d'Israele, passando dalla resistenza silenziosa, fino ai giorni nostri. Elia traccia così una linea narrativa, che congiunge le gesta dell'eroico padre alla propria, quasi disillusa, contemplazione del problema mediorientale.
"Il tempo che ci rimane" illustra una delle pagine più scure di politica internazionale con taglio brioso, mettendo in scena situazioni sibilline, al limite del paradosso e del grottesco. Non è certamente semplice far sorridere trattando una tematica tanto delicata, soprattutto per un regista che a riguardo si porta dietro ferite ancora aperte. Di questo, va dato merito a Suleiman. Ma il meccanismo è ben oliato nella prima parte di film, forse aiutato anche da un tocco di pathos in più, mentre s'inceppa nella seconda, dove i lunghi silenzi risultano infine tediosi. Suleiman si è dimostrato un buon poeta, ma ha portato sul grande schermo un'opera chissà fin troppo personale. Celebrato da più voci critiche, dà l'impressione che basti tirar fuori un discreto film riguardo la questione palestinese per far gridare "Capolavoro!".

★★★☆☆
3/5

martedì 19 aprile 2011

QUALCOSA E' CAMBIATO

(As good as it gets) Di James L. Brooks. Con Jack Nicholson, Helen Hunt, Greg Kinnear. USA 1997. Commedia sentimentale, 130 min.



Nonostante l'eccezionale talento creativo nella scrittura di romanzi romantici, lo scrittore Melvin Udall è profondamente misantropo. Come se non bastasse, è affetto da innumerevoli ossessioni. Un mix micidiale che lo rende inavvicinabile per chiunque, compreso il suo vicino di appartamento, un pittore omosessuale. L'unica persona che riesce a tollerarlo pare sia Carol, una cameriera del suo ristorante preferito. Un brutto incidente del vicino e l'interesse crescente verso Carol indurranno Melvin ad un seppur non semplice cambiamento.
Commediola squagliacuori dal forte gusto di chewing-gum, deve principalmente la popolarità al fatto che entrambi i suoi attori principali si sono portati a casa l'Oscar per la migliore interpretazione. La Hunt promana commovente sincerità (con merito pure dei delicati lineamenti), mentre Nicholson è una tempesta nel deserto, spettacolare quanto fastidiosa. Il resto è per lo più fuffa. Se nella prima parte di film gli atteggiamenti di Melvin possono far breccia, e alcune sue acide battute far ghignare, nella seconda il condensato di miele è quasi repellente. La favoletta di Afrodite che con la bacchetta cambia le persone si prolunga per più di due ore prive di ravvisabili bagliori, quando sarebbero serviti 90 minuti scarsi. Da prendere prudentemente alla leggera.

★★*☆☆
2,5/5

giovedì 14 aprile 2011

IL LUNGO ADDIO

(The Long Goodbye) Di Robert Altman. Con Sterling Hayden, Elliott Gould. USA 1973. Drammatico, 112 min.



In una notte insonne, il detective Marlowe riceve la visita di un caro amico, Terry Lenox, che gli chiede un passaggio al di là del confine USA, in Messico. Il giorno seguente, due federali fanno irruzione in casa di Marlowe e arrestano il detective. L'amico ha ucciso la propria moglie, e lui viene accusato di complicità nell'omicidio. E' infine scarcerato, poiché Terry, suicida, si è assunto la piena responsabilità dell'accaduto. Ma a Marlowe la storia non va giù, e la verità viene sempre a galla.
Il detective Marlowe, al centro di numerosi romanzi dello scrittore Raymond Chandler, ha vissuto svariate trasposizioni cinematografiche, tra cui "Il Grande Sonno" con Bogart. Lento e tortuoso (ma sempre coinvolgente) il levigarsi del mistero, Altman mostra classe nel tappare certi pericolosi vuoti ricorrendo a quella vena ironica che mai gli è mancata durante la carriera. A renderla manifesta ci pensa lo scanzonato Gould, dalla simpatia ipnotica e con la battuta azzeccata sempre a portata di mano. Ma sarebbe riduttivo affermare che siamo di fronte ad un'opera nera celebrata unicamente da toni leggeri. Altman va ben più a fondo, facendosi beffe degli stereotipi hollywoodiani, e riflettendo, o meglio facendo riflettere, sui risvolti di un'amicizia incondizionata e sulla vita nella penombra dei virtuosi in un mondo viscido, opportunista. Virtuosi come lo scrittore Roger Wade, che fa non a caso una fine funesta. Virtuosi come Philip Marlowe, di certo non sempre infallibile, ma i cui alti valori lo guidano fino ad una verità beffarda alla quale però reagisce, colto quasi da un'improvvisa crisi d'identità. E dando spettacolo.

★★★★*☆
4,5/5

mercoledì 13 aprile 2011

LADY VENDETTA

(Sympathy for Lady Vengeance) Di Chan-wook Park. Con Lee Yeong-ae. Corea del Sud 2005. Drammatico, 110 min.



Dopo tredici lunghi anni di prigionia, una donna colpevole di aver ucciso un bambino viene scarcerata. Apparentemente riprende un'esistenza normale: si trova un modesto lavoro, ricontatta la figlioletta in affido ad una famiglia straniera. Ma tutti coloro che hanno conosciuto Lee Geum-ja all'interno del penitenziario, non riescono a riconoscere in lei quella gentile fanciulla sempre pronta ad aiutare le altre detenute. Effettivamente, Lee Geum-ja sta architettando un liberatorio piano di vendetta.
Il sudcoreano Chan-wook Park si è reso celebre nel mondo del cinema grazie ad una trilogia orientale sulla vendetta, comprendente "Mr.Vendetta", "Oldboy" (generalmente apprezzato come il migliore) e appunto "Lady Vendetta". Forse consapevole di aver toccato, con "Oldboy", vette di violenza e di crudità poco sostenibili per uno stomaco standard, qua Chan-wook Park si lascia andare più in un'introspezione dell'animo femminile e materno. Senza però disdegnare totalmente i momenti cruenti. Privo di particolari colpi di scena il plot, il mestiere risalta più nei filosofici dialoghi, nelle inquadrature che giocano coi fiocchi di neve, nella sanguinaria sacralità con la quale viene preparato il giudizio finale per il peccatore. La narrazione a flashback che si protrae per buona parte del film può disorientare, essere quasi d'impaccio con il procedere degli eventi, ma contribuisce paradossalmente ad accrescere quell'alone di mistero che avvolge la protagonista. L'accompagnamento musicale, classico, attribuisce solennità.

★★★*☆☆
3,5/5

lunedì 11 aprile 2011

IL CIGNO NERO

(Black Swan) Di Darren Aronofsky. Con Natalie Portman, Vincent Cassel. USA 2010. Drammatico, 110 min.



La fragile Nina è una delle ballerine più promettenti del New York City Ballet. Ore e ore di sedute di allenamento, tese a perfezionare il proprio stile, paiono infine ricompensate quando il direttore coreografo le offre la tanto agognata chance: il ruolo di protagonista nel suo rifacimento de "Il Lago dei Cigni". Tanto a suo agio nella parte aggraziata del Cigno Bianco quanto titubante in quella aggressiva del Cigno Nero, Nina comincia a temere di non essere all'altezza, serrata da una madre iperprotettiva e da una procace collega decisamente rampante.
Aronofsky si conferma, assieme a Inarritu, uno dei grandi poeti del dolore in celluloide. Con "Il cigno nero" riporta sul grande schermo essenzialmente i temi di "The Wrestler": la dura scalata per render gloria alle proprie passioni, la solitudine del campione, le umane paure che si celano dietro la patina lucente dell'eroe. Le varianti qua stanno nel sesso del protagonista, femminile, nell'atmosfera, notturna, portata ai limiti dell'incubo, e ovviamente nel tema cardinale, la danza. Non è da qualunque film tanto profumo di paranoia. In questo il regista deve ringraziare la sublime Natalie Portman, che dà spirito a quel personaggio centrale dagli sguardi incerti e le labbra tremanti, un caso psicanalitico. E bravo anche Cassel. Soffia sempre un vento d'incertezza sulle sorti di Nina, il che garantisce la piena tenuta della trama nel suo evolversi. Raffinata la coreografia delle scene di ballo, Aronofsky dimostra di saper ben gestire una cinepresa anche sul palco di un teatro.
Affossato da parte della critica sulla base di due ragioni: 1) le scene a luci rosse, che potrebbero star bene in un film porno; 2) le scene di delirio di Nina, che potrebbero star bene in un film di Cronenberg. Inoltre la protagonista si lagna troppo, per poter accattivarsi simpatie.
Morale della favola: per svettare nella vita non basta essere sé stessi, come ti hanno detto sin da bambino e come si è sentito probabilmente dire Nina da sua madre, ma devi fare i conti anche con la sponda del fiume opposta a quella sulla quale siedi.

★★★★☆
4/5

giovedì 7 aprile 2011

LA RAGAZZA DEL LAGO

(La ragazza del lago) Di Andrea Molaioli. Con Toni Servillo. Italia 2006. Giallo, 93 min.



Sulle sponde di un lago nel Friuli viene rinvenuto il corpo privo di vita di una bellissima ragazza. Spetta all'ispettore Giovanni Sanzio occuparsi del misterioso caso. Durante lo svolgimento delle indagini nel paesino di appartenenza della giovane, compiute con spietata disinvoltura, Sanzio dovrà affrontare anche spinosi nodi familiari: il vuoto rapporto tra lui e la figlia, e la grave infermità mentale della moglie.
Esordio alla regia di Molaioli, ispirato da un romanzo norvegese di Karin Fossum. Giallo dall'andatura lenta, chissà un tantinello soporifera, e comunque non eccezionalmente sofisticato. Il lavoro che interessa di Molaioli è quello svolto sulle trame umane su due opposti versanti: quello interno, tra le mura familiari domestiche, e quello esterno, in un paese di provincia apparentemente quieto (composto da personaggi a volte verosimili, a volte di cartapesta). Tocca il cuore la meditazione sulla malattia, che si dipana attraverso tre personaggi, tre storie. Competenti le interpretazioni in genere, spicca su tutte ovviamente la prova di Servillo, certamente uno dei migliori attori del panorama italiano attuale.

★★★☆☆
3/5