lunedì 26 dicembre 2011

QUEL TRENO PER YUMA

(3:10 to Yuma) Di James Mangold. Con Russell Crowe, Christian Bale. USA 2007. Western, 117 min.




Un contadino zoppo e sul lastrico, eroe della Guerra di Secessione, accetta di scortare il fuorilegge Ben Wade verso il treno che lo condurrà poi a Yuma, dove sconterà la condanna per i suoi crimini. Durante il viaggio, reso arduo dagli assalti della compagnia di Wade, contadino e fuorilegge scoprono di non essere poi così distanti.
Remake di un film del '57, abbonda di pompose forzature tese ad esaltare le virtù, l'eroicità dell'uomo della prateria dimenticato, e il presunto cuore buono che si cela sotto la scorza dura di un pericoloso bandito. Il rapporto tra i due protagonisti prende una piega da "sindrome di Stoccolma" quantomai improbabile. Eppure non si può negare che Mangold abbia diretto un'opera intensa, capace di far battere forte il cuore. Più che le violente sparatorie, reali protagoniste del film sono la produzione e la fotografia. Ottimo Crowe nella parte del villain, un po' più debole il comunque capace Bale.

★★★☆☆
3/5

martedì 20 dicembre 2011

PALLOTTOLE SU BROADWAY

(Bullets over Broadway) Di Woody Allen. Con Dianne Wiest, John Cusack, Chazz Palminteri. USA 1994. Commedia, 100 min.



Commediografo esordiente scende a compromessi con la mafia per sfondare a Broadway: in cambio dei finanziamenti, dovrà dare una parte di rilievo alla donzella del boss. La ragazza si dimostra però inetta, e le prove fanno preludere ad un fiasco colossale. Ci pensa nientemeno che un sicario del mafioso, improvvisamente innamoratosi di teatro, a risolvere le noie.
Ibrido tra commediola e gangster-story, cui obiettivo è farsi beffa del teatro con la "T" maiuscola, forse si perde in troppe tresche amorose affrontate con spirito leggero. Il tocco di Allen si sente pochino, e le sue piacevoli divagazioni dallo spirito scanzonato fanno comparsa di rado. In effetti, ci si ricorda quasi di aver visto un film di Allen solo nella gag finale. Semmai è un piacere veder recitare Chazz Palminteri, semi-sconosciuto attore che avrebbe meritato qualche riflettore puntato in più nel mondo del cinema, e la stagionata ma fascinosa Wiest.

★★★☆☆
3/5

martedì 6 dicembre 2011

I SENZA NOME

(Le cercle rouge) Di Jean-Pierre Melville. Con Gian Maria Volonté, Alain Delon. Francia 1970. Criminale, 109 min.



Un poco raccomandabile trio, composto da un avanzo di galera, un ricercato dalle autorità ed un ex-poliziotto schiavo dell'alcol, unisce le forze per tentare una memorabile rapina ad una gioielleria. Sulle loro tracce vi è però un commissario senza fronzoli, pronto a non guardare in faccia a nessuno pur di perseguire chi infrange la legge.
Melville riesce a dar vita a stimolanti noir polizieschi facendo sporadico ricorso alla violenza e all'azione (al contrario di quanto accade oggi, dove lo scorrere di sangue è di norma), puntando tutto sull'atmosfera. Melville è il maestro dell'atmosfera. Ce lo dimostra ne "I senza nome", meticoloso quanto realistico, fino alla fine, romanzo criminale, dominato da persistenti inquadrature cui sottofondo musicale sono meri effetti sonori, e la parola è rara, versata con spinosa saggezza. Il risultato rende, sebbene indubbiamente non si digerisca con facilità. I rapinatori non hanno altra scelta che intraprendere la strada del male per garantirsi una vita quantomeno decente, il poliziotto non ha altra scelta che intraprendere il medesimo percorso se vuole riuscire nel suo dovere: nessuno può esimersi dal bagno di fango. Delon non sbaffa mai, ben più di qualche gradino al di sopra dei colleghi per recitazione.

★★★★☆
4/5

lunedì 5 dicembre 2011

TUTTO SU MIA MADRE

(Todo sobre mi madre) Di Pedro Almodóvar. Con Penelope Cruz, Marisa Paredes. Spagna 1999. Drammatico, 105 min.



Sconvolta per la morte prematura del figlio diciassettenne, Marisa intraprende un viaggio da Madrid a Barcellona, alla ricerca del padre di lui, divenuto nel frattempo un travestito di nome Lola. A Barcellona rincontra una vecchia amica, Agrado, altro travestito, e fa la conoscenza dell'attrice che ha causato inconsapevolmente l'incidente mortale del figlio, e di una giovane suora incinta proprio di Lola.
Del più famoso dei film di Pedro Almodóvar si apprezza maggiormente il modo in cui drammi intimamente personali, drammi che spesso parlano di emarginazione socio-culturale, si mischino ad una ironia sboccata, leggera, che non teme confronti con il buon costume. Nonostante colori il suo film di figure borderline, se così si possono definire, Almodóvar vuole comporre un inno alla donna e alla sua sensibilità. Non a caso, "Tutto su mia madre" parla un linguaggio esclusivamente a tinte rosa. Butta forse troppa carne al fuoco nella seconda parte, quando architetta più di una situazione al limite del paradosso, sempre giocando con l'ambiguità, risultando fantasioso oltre il dovuto per le pretese più importanti della pellicola.

★★★*☆☆
3,5/5

mercoledì 30 novembre 2011

LO STRANIERO SENZA NOME

(High Plains Drifter) Di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood. USA 1973. Western, 105 min.



Un misterioso pistolero arriva nel piccolo villaggio di Lago. La comunità è terrorizzata dal fatto che tre banditi, i quali in precedenza avevano brutalmente ucciso a frustate lo sceriffo di Lago, stiano per essere rimessi in libertà. Per contrastare una probabile ritorsione, il sindaco del villaggio decide di assumere il pistolero per difendere la propria gente. Tutto non andrà esattamente come prospettato.
Il primo western girato da Eastwood non aggiunge di prima occhiata molto di nuovo al genere. Battute e personaggi sembrano estratti dal minimo comune denominatore delle pellicole dalle pistole fumanti e dai polverosi saloon. Eastwood fa il solito gradassone, sia quando fa tuonare il revolver che quando sta sotto le coperte con una pulzella. Eppure c'è un qualcosa di tremendamente sinistro, qualcosa di simpaticamente diabolico, che pervade l'aria di Lago. Grazie a questo lato pieno di ombre, l'Eastwood regista dà tinte gialle ad una struttura classica, che culmina con una vendetta furiosa, arcaica. Un indice puntato contro il bigottismo di campagna, in un film sporco dove le figure positive latitano.

★★★*☆☆
3,5/5

domenica 27 novembre 2011

STRADE VIOLENTE

(Thief) Di Michael Mann. Con James Caan, Tuesday Weld, James Belushi. USA 1981. Criminale, 118 min.



Frank, mago della rapina che ha appreso i ferri del mestiere in gattabuia, è stanco di correre rischi e progetta un ultimo grande colpo, prima di dedicarsi ad una vita più limpida, al cui centro vi è un progetto familiare accanto alla bionda Jessie. Il colpo va a segno, ma l'organizzazione criminale per il quale ha svolto il lavoretto ha piani diversi per il futuro di Frank.
E' con "Thief", 1981, che Mann si affaccia per la prima volta al tanto caro soggetto criminale, che poi continuerà a trattare nel largo della carriera ("Heat: la sfida", "Collateral", "Nemico Pubblico"). In un lavoro che esala un forte odore eighties, Mann narra sì di una storia antica, quella del crimine che non paga, ma esamina pure di come, una volta "marchiati", sia impossibile risalire le acque di tale stagno torbido. Lo fa in modo quasi ossessivo, utilizzando tecniche di regia che diverranno poi un suo marchio di fabbrica, combinandote con le musiche dei "Tangerine Dream", e realizzando con cura e in modo spettacolare, eppure verosimile, i momenti centrali di "Thief", ovvero quelli inerenti alla rapina. Mann è inoltre ammirevole per come, pur sfioriando appena la tematica carceraria, riesca a far vivere sulla pelle il dramma del sole a strisce: in modo celato, è su questo binario fantasma che il film compie il suo viaggio. Un viaggio che, nonostante le scene più cariche di adrenalina si svolgano nel finale, non manca mai di pathos, perchè la strada di Frank è una strada violenta, dove non si può mai sapere quale faccia a faccia si possa celare dietro il prossimo vicolo, o un poliziotto corrotto o un amico in cerca disperatamente di aiuto. Nel frenetico epilogo i sogni di Frank vanno in fumo come la sua rimessa di macchine usate, l'esplosione di violenza e di sangue paiono quasi un atto di giustizia divina, a cospetto di tutto il marcio che Mann ci ha sventolato sotto il naso lungo le due ore. Il protagonista è un anti-eroe che semplicemente gioca a scacchi con la Morte, provando invano a rivoltare un destino che lui stesso sa già delineato da qualche misteriosa forza. James Caan sfoggia mille maschere, in una delle più belle interpretazioni della sua carriera; peccato solo proprio per il finale, dove manca un po' di espressività. Sottovalutato, poco conosciuto rispetto ad uno "Scarface", probabilmente il miglior film di Mann.

★★★★*☆
4,5/5

lunedì 21 novembre 2011

POST MORTEM

(Post Mortem) Di Pablo Larrain. Con Alfredo Castro, Antonia Zegers. Cile 2010. Drammatico, 100 min.




Nei giorni del colpo di stato cileno del 1973, un funzionario di nome Mario, il cui compito è quello di redarre le autopsie svolte dai medici, corona il suo sogno d'amore: Nancy, una ballerina dalla carriera in caduta libera, accetta le sue avances. Mentre il lavoro ospedaliero si fa sempre più macabro, Nancy è costretta a nascondersi, braccata dalle forze militari. Mario, all'insaputa dei suoi superiori, le presterà assistenza.
Pablo Larrain è un emergente regista sudamericano, che si è fatto già conoscere nel 2008 grazie a "Tony Manero". Come in quell'episodio, Larrain usa come sfondo di "Post Mortem" la tremenda dittatura di Pinochet. La narrazione relativa i tragici giorni del colpo di stato è in realtà sottile. Larrain pare svogliato, forse disgustato, nello spiegare le ragioni di quel tracollo, limitandosi a impressionare mediante la crudeltà delle forze armate. Quello che in verità lo interessa è investigare sulla natura dell'amore, ponendo il sentimento in uno sfumato contrasto con i relativi poli opposti, quali la guerra e l'odio. Il un risultato che punge e deprime, la scelta di far protagonista un personaggio come il modesto Mario, lontano cugino del capitano Gerd Wiesler de "Le vite degli altri", che cerca rifugio nella passione da una monotona e opprimente esistenza, risulta felice. Qualche momento lento e alcune scene un po' testarde, per un film che comunque merita.

★★★*☆☆
3,5/5

martedì 15 novembre 2011

CONTAGION

(Contagion) Di Steven Soderbergh. Con Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet, Jude Law. USA 2011. Thriller, Catastrofico, 105 min.




Un virus sconosciuto proveniente dall'Asia scatena nell'intero mondo un'epidemia senza precedenti. Mentre l'OMS cerca disperatamente una cura per la nuova, letale influenza, diversi drammi personali s'intrecciano sull'apocalittico quadro. Quello di un padre vedovo che cerca di proteggere la propria figlia, quello di un blogger pronto a gridare alla cospirazione, quello di una dottoressa d'elite colpita dalla malattia, quello di una studiosa francese rapita allo scopo di ottenere come riscatto il vaccino.
Definito da alcuni come il film horror dell'anno, "Contagion" di Soderbergh fa sue la paure scaturite nel 2009 dal virus H1N1 e materializza sul grande schermo gli spettri della pandemia. E' angosciante il fatto che un simile evento sia tutt'altro che fantastico, ma Soderbergh non ha francamente viaggiato tanto d'immaginazione, mettendo in atto conseguenze piuttosto ovvie. File per un tozzo di pane, linciaggi pubblici, fughe dalle metropoli, predicatori telematici, ritorsioni nei confronti dei poteri forti: pure un burocrate di una cancelleria di un tribunale potrebbe ipotizzare simili scenari. E' bravo quando alterna la regia cavalcante da thriller a quella più da notiziario, oppure addirittura a quella da videoclip, ma pure gli zoom sui micromondi familiari scadono nel patetico. Sebbene si avvalga di attori più che affermati, nessuno di essi si fa notare in particolare. Più che pandemia, un po' pattume.

★★*☆☆☆
2,5/5

domenica 13 novembre 2011

CURE

(Kyua) Di Kiyoshi Kurosawa. Con Kôji Yakusho. Giappone 1997. Thriller, 115 min.



Tokyo. Numerosi casi di omicidio si verificano in serie, tutti accomunati dallo stesso particolare: alla vittima viene incisa una croce nel petto. I colpevoli sono generalmente persone placide che improvvisamente, senza alcun motivo preciso, assalgono con violenza i propri cari. E' il detective Takabe a ritrovarsi a svolgere indagini su questo bizzarro caso. Gli indizi lo portano sino ad un giovane di nome Mamiya, apparentemente affetto da una patologia che ne limita fortemente la memoria: coloro che si sono macchiati di sangue lo hanno casualmente incontrato prima del delitto. Ma qual è il reale nesso tra questi tragici eventi e Mamiya?
Horror, thriller, poliziesco, psicologico? "Cure" è inqualificabile tanto quanto il protagonista Mamiya. Di sicuro c'è che si tratta di un film il quale, senza dover ricorrere a zombie o a clamorosi effetti speciali, turba come un lavoro di Lynch. E non tanto per la crudezza con cui i malcapitati vengono trucidati, ma per la spirale discendente nel quale sprofonda il detective Takabe e la relazione con la moglie ammalata. Facendo perno sull'ipnosi e sul mesmerismo, Kurosawa ha trovato un campo al confine tra il razionale e il surreale che: 1)è dotato di arcano fascino; 2)ben si presta alle sue congetture rosso sangue; 3)offre la possibilità di rompere la linearità della narrazione. E in effetti, la trama, negli ultimi 20 minuti, si fa decisamente più fumosa. Ma non che sia un difetto, anzi. Lo stile ricorda più quello del film d'autore, che quello degli altri film della stessa categoria, dalla regia certo più frenetica. Un giovane vagabondo smemorato si è fatto specchio per riflettere le più vomitevoli frustrazioni racchiuse nella psiche del genere umano.

P.S.: data la difficile reperibilità, a scopi unicamente culturali indico il link dove è possibile scaricare "Cure" in versione, fra l'altro, sottotitolata:
http://www.megaupload.com/?d=BFX41HIW

★★★★☆
4/5

sabato 12 novembre 2011

MEAN STREETS - DOMENICA IN CHIESA, LUNEDI' ALL'INFERNO

(Mean Streets) Di Martin Scorsese. Con Harvey Keitel, Robert De Niro. USA 1973. Drammatico, 110 min.



Cartoline da Little Italy, New York, anni '70. C'è Charlie, astro nascente della Mala, frenato nell'ascesa dai sensi di colpa e dalle amicizie poco azzeccate. C'è Johnny Boy, irriverente delinquentello sempre nei guai e coi creditori alle calcagne. C'è Teresa, che soffre di epilessia ed è innamorata del cugino Charlie. C'è Michael, impacciato gangster, tremendamente permaloso. Tutti coinvolti in delicati giochi di fuoco. Finiranno per bruciarsi.
Quarto film di Scorsese, primo masterpiece. Riversando in "Mean Streets" quanto visto e vissuto nella Little Italy in cui è cresciuto, il regista italo-americano ci offre uno scanzonato, emozionante mafia-movie a tinte tricolori. Trama essenziale, si sviluppa in tanti episodi memorabili quasi a sè stanti, quando ilari, quando sciagurati. Colpisce la cura con cui leviga psicologicamente i propri personaggi. Attarverso lo splendido Charlie mette a nudo un po' tutte le nostre fragilità, i nostri dubbi (e probabilmente anche dello stesso Scorsese): non esistono strade dritte e comodomente a senso unico, sull'autostrada della vita. E come tralasciare il sublime De Niro, giovanissimo, anche lui alle prime fatiche, nei panni dello schizoide Johnny Boy? Il montaggio è a volte coraggioso, ma, anche con il sostegno di classici pezzi rock del tempo, risulta felice. Ciliegina sulla torta, lo sfondo festaiolo, a caldo, delle celebrazioni di San Gennaro. E' un peccato che contemplazioni così lucide sugli umani impulsi autodistruttivi siano oggi proiettate raramente. Guy Ritchie di maccheroni deve mangiarne.

★★★★*☆
4,5/5

martedì 8 novembre 2011

SPIDER

(Spider) Di David Cronenberg. Con Miranda Richardson, Ralph Fiennes. USA 2002. Thriller, 98 min.



Dennis Cleg, un uomo affetto da una grave forma di schizofrenia, giunge in una struttura di reinserimento sociale per persone disturbate. Il centro si trova nello stesso quartiere dove egli è cresciuto e dove si è consumato il dramma della propria vita. In un susseguirsi di flashback, Dennis rivive quei drammatici giorni, contraddistinti da un morboso affetto provato per la madre e dalla diffidenza rispetto l'insensibile padre.
Cronenberg mette da parte i propri surreali incubi dai rintocchi horror-fantascientifici, spostando lo sguardo con "Spider" verso tematiche sì lugubri ma più ancorate alla realtà. Il mostro stavolta non è nè una mosca gigante nè un qualche superman dai poteri paranormali, ma la società del quotidiano che tiranneggia psicologicamente sul più debole, anzichè essergli di aiuto. La rappresentazione della malattia è molto semplice, spesso monocorde. Il background familiare del protagonista denota punti d'incertezza: che cosa si è rotto tra i suoi genitori di preciso? Cronenberg piace di più quando materializza i fantasmi della vita di Clegg per spargere le carte sul tavolo nel thrilling finale. Poteva essere il suo capolavoro, rimarrà un film svolto con mestiere. Tra gli attori spicca Miranda Richardson in un interessante doppio ruolo (meglio quando interpreta la madre del fanciullo).

★★★*☆☆
3,5/5

giovedì 3 novembre 2011

THIS MUST BE THE PLACE

(This must be the place) Di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn, Frances McDormand. Italia, Francia, Irlanda 2011. Drammatico, 121 min.



La 50enne rockstar Cheyenne ha messo fine alle proprie fatiche artistiche da ormai 20 anni, nonostante ami ancora curare il proprio "glam look" come ai vecchi tempi. Conduce una vita senza emozioni di rilievo, in stato di depressione latente, assieme alla moglie, in una lussuosa casa di Dublino. La morte del padre, con cui non si relaziona da decenni, lo porta fino negli Stati Uniti. Qua scopre che il padre era ossessionato dalla ricerca di un vecchio ufficiale nazista che lo aveva umiliato ai tempi dell'Olocausto. Cheyenne decide di portare a termine tale compito, intraprendendo un lungo viaggio attraverso gli States.
Sorrentino cerca di sfondare le barriere nazionali, alla ricerca di quello stesso consenso di critica, puntando su un film che vanta l'interpretazione di un attore di fama mondiale, un personaggio principale assai peculiare, e il sempre accattivante sviluppo in on-the-road. Il tema principale potrebbe essere quello del legame familiare, ma a ben vedere è forse lo smarrimento dell'ego in relazione a tale genere di affetto. Tutti i personaggi principali di "This must be the place" brancolano in una triste tenebra, senza saperne bene il motivo, sebbene un caldo raggio di luce irradi lì, a due passi da loro. La formazione di Cheyenne (che deve il suo look a Robert Smith), adulto intrappolato nel suo mito, non illustra però nulla di nuovo, un po' come alcune frasi ad effetto che vengono pronunciate, connotate di poco carisma e difficilmente memorabili. Sorrentino s'ispira evidentemente a Aronofsky ("The Wrestler"). Non resta che godersi le gaffe, o gag, di un personaggio strampalato, buffo, a tratti commovente, che certo egli sì rimarrà memorabile nella filmografia di Penn. Cameo di David Byrne (che ha composto la canzone che ispira il titolo).

★★★☆☆
3/5

martedì 1 novembre 2011

INVICTUS - L'INVINCIBILE

(Invictus) Di Clint Eastwood. Con Morgan Freeman, Matt Damon. USA 2009. Drammatico, 134 min.



Dopo aver vinto le elezioni per la presidenza del Sudafrica, Nelson Mandela studia il modo per cercare di abbattere il muro di pregiudizio che separa i suoi cittadini bianchi da quelli neri. La concomitanza dei mondiali di rugby nel Paese offre la possibità di sfruttare la passione per la nazionale sudafricana come arma di riconciliazione. Piccolo problema: la squadra non brilla certo per risultati. Mandela sprona allora i suoi atleti, inizialmente poco convinti, convincendoli dell'importanza di un eventuale trionfo, chiave per la rinascita.
Il film racconta di come nel 1995 la nazionale di rugby del Sudafrica, da squadra materasso, riuscì ad arrivare sino alla finale del torneo e a battere i favoriti neozelandesi. E' impressionante come Eastwood, negli ultimi anni, non sbagli un lavoro dietro la macchina da presa. La storia di "Invictus" potrebbe, soprattutto nella prima metà, far tirare qualche sbadiglio come la lettura di un polveroso libro di storia. Ciò non accade, perchè l'alternanza tra vicende sportive e politiche, con sullo sfondo lo sviluppo del dramma sudafricano, ispira un certo ritmo di narrazione. Il merito va anche allo straordinario Freeman, per il quale ormai gli aggettivi di elogio sono sprecati. L'adrenalina degli incontri si fonde infine con una commozione pura, palpabile, per un sogno divenuto realtà. Eastwood elabora (e sopratutto insegna) la storia in fotogrammi, dà peso alle parole giuste, e trasmette un messaggio d'amore per la razza umana senza distinzioni.

★★★★☆
4/5

venerdì 14 ottobre 2011

SUPER 8

(Super 8) Di J.J. Abrams. Con Elle Fanning, Kyle Chandler. USA 2011. Fantascienza, 110 min.



Un gruppo di ragazzini, alle prese con le riprese di un film horror amatoriale, è testimone di un catastrofico incidente ferroviario. Nella loro piccola cittadina cominciano da allora a susseguirsi eventi insoliti, misteriose scomparse, attività militari. La curiosità spinge i ragazzi a cercare di capire cosa accadde la notte dell'incidente. Scopriranno che qualcosa di straordinario è fuggito da uno di quei vagoni.
Una fantascienza tanto fiabesca non poteva che essere (se non diretta) prodotta da Steven Spielberg. E Abrams paga appunto un forte dazio in termini ispirativi nei confronti del suo celebre produttore. La trovata simpatica è quella di mischiare un po' di "Goonies" e "Stand by me" alla concezione di film di fantascienza tanto in voga oggi, dove il mostro o l'alieno non è più invasore, ma povera creaturella intrappolata in un mondo schifoso dal quale cerca disperatamente di battersela. Alla fine ci si chiede se il film sia carne o sia pesce: prodotto per ragazzi o anche per i più grandicelli? I momenti di violenza di certo non mancano! In alcuni frangenti, soprattutto quelli che dovrebbero risultare commoventi, l'odore di aria fritta è palpabile; qualche effetto speciale confacente (non strabilianti ma comunque dignitosi) e qualche sbalzo d'adrenalina rendono la narrazione efficace. Tra i piccoli attori spicca Elle Fanning: sarà famosa?
Molto divertente il risultato finale delle riprese della giovane combriccola, visibile durante i titoli di coda.

★★★☆☆
3/5

giovedì 13 ottobre 2011

LAWRENCE D'ARABIA

(Lawrence of Arabia) Di David Lean. Con Peter O'Toole, Anthony Quinn, Alec Guinness. Gran Bretagna 1962. Storico, 219 min.



Nel 1916, primo anno della Rivolta Araba, il governo britannico invia un giovane ed inesperto ufficiale, il tenente T.E. Lawrence, ad investigare sulle reali capacità delle barbare tribù della Penisola, a fronte del preparato nemico turco. Lawrence, affascinato dalla cultura del luogo, riesce in breve a guadagnarsi la stima dei guerrieri arabi e vi s'impone con gran carisma alla guida. La gloria che va cercando l'inglese mette però a repentaglio, a poco a poco, l'integrità della sua salute mentale.
Kolossal di oltre 3 ore e mezzo, quasi una dichiarazione d'amore nei confronti dello sconfinato, spietato, enigmatico deserto, che come una femme fatale seduce il tenente Lawrence, prima inebriandolo, poi portandolo ai confini della follia. Fotografia ipnotizzante, sviluppo della trama che tiene bene alla debordante durata. La ricostruzione storica può far sollevare obiezioni, strizza l'occhio più di una volta al far spettacolo; Lean è più concentrato nel caratterizzare, con fino, le varie tribù e le loro arcaiche consuetudini. O'Toole, che ha fascino controverso ma non eccelle in particolare, divenne star.

★★★★☆
4/5

LA STANGATA

(The sting) Di George Roy Hill. Con Paul Newman, Robert Redford, Robert Shaw. USA 1973. Commedia, 129 min.



Un lavoretto sporco, ai danni di un boss locale, finisce male per Coleman e Hooker, due truffatori professionisti negli anni della Grande Depressione: il primo ci rimette la pelle, il secondo si vede costretto a fuggire dalla città. Hooker raggiunge a Chicago Mr.Gondorff, una vecchia gloria della truffa caduta in miseria. Con il suo aiuto, architetta un colpo gobbo ai danni del boss per vendicarsi dell'amico ucciso.
La trama, suddivisa in capitoli, si fonda sulla meticolosa truffa ordita dalla coppia Redford-Newman (già insieme in "Butch Cassidy and the Sundance Kid"). Fin troppo perfetta per apparire verosimile, vanta però di alcuni colpi di scena di gran classe. Bravo Newman ad intrattenere, tra un bluff in una partita di poker e un gesto d'intesa alla sua ciurma viziosa. Si gode se seguito con attenzione.

★★★*☆☆
3,5/5

sabato 8 ottobre 2011

MAJOR LEAGUE - LA SQUADRA PIU' SCASSATA DELLA LEGA

(Major League) Di David S. Ward. Con Tom Berenger, Charlie Sheen. USA 1989. Commedia, 107 min.



Ricevuta in eredità la squadra di baseball dei Cleveland Indians, la nuova proprietaria la infarcisce consapevolmente di giocatori allo sbando o a fine carriera, al fine di ottenere risultati miserrimi. Solo così potrà trasferire la proprietà in Florida, nella calda Miami. Ma qualcosa va storto, e la squadra comincia a vincere tutti i match, trainata da un lanciatore dalla fedina penale poco pulita, che tutti chiamano "Wild Thing".
Filmetto adatto per passare una serata senza spremere troppo le meningi. Non si evidenzia nè per le interpretazioni (monoespressivo Sheen), nè per regia, nè per plot. Si punta tutto sulle assurde gag dei singolari giocatori e le quantomai rocambolesche partite degli Indians, riuscendo in tanto paradosso a strappare qualche risata. Come dire: simpatico, ma scemo.

★★*☆☆☆
2,5

venerdì 7 ottobre 2011

THE TREE OF LIFE

(The tree of life) Di Terrence Malick. Con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain. USA 2011. Drammatico, 138 min.



Jack, architetto affermato ma disgustato dai valori della società contemporanea, non riesce a fare a meno di pensare tutti i giorni alla morte del fratello, avvenuta svariati anni addietro. Un fantasma che proietta la sua mente lontano, all'età fanciullesca, quando doveva sottostare all'educazione autoritaria imposta dal severo padre. Un fantasma che proietta la sua mente lontanissimo, per interrogarsi sul reale significato dell'esistenza.
Malick ha rinunciato ad elaborare una trama articolata, ed ha puntato piuttosto ad un qualcosa di essenziale, comunque tortuoso, nel proclamare il "suo" senso della vita. Il risultato disorienta e affascina allo stesso tempo, sebbene l'estrema soggettività dei temi trattati (forse con piglio autobiografico?), in una prospettiva così poco lineare, rendano ardua la visione dell'opera. Nemmeno le riprese e gli effetti visivi, quest'ultimi a volte un po' troppo pomposi, si perdono nella banalità. A ben dire, "Tree of Life" è un film con alte contaminazioni sperimentali, dove ciascun spettatore può attibuire un significato diverso a ciascun elemento che compone il film. Ciò che è limpido è invece il pessimismo di Malick nei riguardi del futuro prossimo dell'umanità, e il suo intento di rivolgere una preghiera verso il cielo (e verso noi), tuttavia mediante l'impiego parziale di frasi fatte, o massime da oratorio. Interessante inoltre il confronto tra il limitato universo familiare, dove si modellano i caratteri degli individui, e l'infinità dell'universo spaziale/temporale. L'Apocalisse finale lascia esterrefatti, la sensazione di aver presenziato alla rivelazione di un oscuro mistero. Inutile perdersi in troppe inutili parole: va visto, con coraggio. Quello stesso coraggio che è valso a Malick la Palma d'Oro a Cannes. Gli attori: Pitt lodevole per impegnarsi egregiamente in un film d'autore, però Penn, in un solo pugno di scene, ne oscura i meriti.
Forse, fra 30 anni, sarà considerato un capolavoro.

★★★★☆
4/5

domenica 2 ottobre 2011

ATTO DI FORZA

(Total Recall) Di Paul Verhoeven. Con Arnold Schwarzenegger, Sharon Stone. USA 1990. Fantascienza, 109 min.



2084. Marte è l'ossessione di Douglas Quaid, umile operaio edile. Non riuscendo a convincere la moglie a intraprendere un viaggio verso il pianeta rosso, decide di rivolgersi ad una agenzia, la Recall, specializzata nell'installare ricordi di eventi, mai effettivamente verificatosi, nella mente umana. Durante l'operazione, però, si verifica un problema: Quaid ha già all'interno del suo cervello una memoria fasulla. Scopre così di essere al centro di una cospirazione tesa a sovvertire l'ordine dei terrestri imposto su Marte.
Ispirato al racconto "Ricordiamo per voi" di Philip K. Dick. Chiassoso, pseudo-splatter e non eccepibilmente interpretato come molti dei film d'azione degli anni '80, "Atto di forza" è riuscito, in una prospettiva di vent'anni dalla sua prima visione, a ritagliarsi comunque uno spazio di tutto rispetto tra i film di fantascienza di pedigree, in barba a snobismi critici. Certamente non si respira quell'aria dark romantica del capolavoro assoluto del genere, "Blade Runner", ma le quasi due ore scorrono senza momenti vacui, tra scariche di adrenalina, trovate e invenzioni tecnologiche originali (memorabile l'"ologramma"), sarcasmo d'effetto del nerboruto Arnold. Tutto condito da effetti speciali, premiati con Oscar, tuttoggi non obsoleti. Trama implausibile? Verhoeven ha giocato abilmente a confondere sogno con realtà, senza svelare nemmeno nel finale le carte, garantendosi una certa libertà nel raccontare la vicenda e ponendo qualche punto interrogativo anche sulle nostre certezze.

★★★*☆
3,5/5

giovedì 15 settembre 2011

UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA

(Deliverance) Di John Boorman. Con Jon Voight, Burt Reynolds. USA 1972. Drammatico, Avventura, 109 min.



Quattro amici decidono di trascorrere un fine settimana all'insegna dell'avventura sui monti Appalachi, discendendo in canoa un fiume immerso nella natura selvaggia. L'intera zona, a causa di una diga, verrà completamente inondata nel giro di poche settimane. L'ottusaggine dei sempliciotti abitanti è di preludio ai drammatici eventi che segneranno le sorti del gruppo.
La natura è impetuosa, indomita, terribile, ma porta rispetto per l'uomo che ne riesce a cavalcare, come i protagonisti con le loro canoe, gli assillanti capricci. Boorman pone a contraltare il suo reale tormento: l'infinita abiettezza dell'uomo, che può abbattersi sia sulla citata natura, sia sulla medesima razza umana. Ritmi serratissimi, accompagnamento musicale asciutto (il motivo iniziale a due banjo suonerà più volte, ma la sua aria spensierata risulterà infine beffarda), fotografia considerevole. E' Voight, più che il chiassoso Reynolds, a guadagnarsi le luci della ribalta: Ed è giustamente l'unico che può uscire (quasi)indenne da un tranquillo weekend di paura, sì mansueto ma pronto ad adattarsi, senza esitazioni, alle pur tremende evenienze. Troppo istintivo Lewis, troppo razionale Drew, troppo pavido Bobby. E se il sogno, o l'incubo, di un lago che sommerge i suoi peccati ne disturba il sonno, pazienza. E' un piccolo prezzo da pagare, a confronto di quello dei suoi compagni, per aver osato scendere nei più profondi recessi del creato.

★★★★*☆
4,5/5

giovedì 8 settembre 2011

FA' LA COSA GIUSTA

(Do the right thing) Di Spike Lee. Con Danny Aiello, Spike Lee, John Turturro. USA, 1989. Drammatico, 117 min.



Complice una straordinaria ondata di afa, la convivenza in un quartiere nero di New York tra la piccola pizzeria dell'italiano Sal e gli abitanti afroamericani si fa sempre più ingarbugliata. I figli di Sal sono divisi sul come comportarsi nei loro confronti, in primis verso il fattorino Mookie: Vito è tollerante e amichevole, Pino è sfrontato e focoso. In un crescente clima d'intolleranza, che vede coinvolte pure le etnie latine e coreane, la situazione degenera.
Il terzo film di Spike Lee fece al tempo scalpore poiché pareva incitare, in un momento particolarmente delicato, la comunità nera alla rivolta, quasi sulle note dei "Public Enemy". Visto con occhi di oggi, "Fa' la cosa giusta" non impressiona né per originalità e neppure per pathos. Se ne ammira beninteso l'ardore del regista e quell'aria nostalgica, puramente anni '80, che ci fanno annusare delle strade soavemente descritte, dove è vero che si palesano parecchi problemi tutt'oggi rintracciabili, ma dove ciononostante la vita sembra scorrere più genuina, più leggera. E allora anche una battuta oscena o una discussione strampalata, possono divenire poesia. Corale interpretazione che sprizza sincerità.

★★★*☆☆
3,5/5

giovedì 25 agosto 2011

UNA VITA AL MASSIMO

(True Romance) Con Christian Slater, Patricia Arquette, Dennis Hopper, Val Kilmer, Brad Pitt. USA 1993. Thriller, 118 min.



Clarence, visionario venditore di fumetti, s'innamora di una prostituta, Alabama. Fatto fuori il protettore, la coppia fugge, sognando un lucente futuro, con una valigetta dal contenuto esplosivo: cocaina. Verranno tallonati dalla mafia e, allo stesso tempo, dalle autorità.
Sceneggiato da Tarantino, ma diretto da Tony Scott, fratello del più noto (e capace) Ridley. La traccia pare un outtake di quel genio tarantiniano che nella prima metà degli anni '90 viveva il picco creativo. Dialoghi, episodi pulp, accompagnamento musicale risultano di serie B comparati a quelli de "Le Iene" o di "Pulp Fiction". La carrellata di celebri comparse non riesce a celare tanta siccità sul versante dell'originalità. Perfino la scena d'azione conclusiva smuove poca adrenalina. Irritanti Slater e la Arquette. Scott puntava a fare un film-parodia? Non perviene.

★★☆☆☆
2/5

mercoledì 10 agosto 2011

IL BANDITO DELLE ORE UNDICI

(Pierrot le fou) Di Jean-Luc Godard. Con Jean-Paul Belmondo, Anna Karina. Francia, Italia, 1965. Drammatico, 112 min.



In profonda crisi esistenziale, Ferdinand si lascia alle spalle la moglie e la piatta belle vie parisienne per fuggire via con l'enigmatica Marianne dopo essersi macchiate le mani di sangue. Tra momenti zuccherosi, giochi infantili e disaccordi, la loro storia avrà un drammatico epilogo.
L'ingannevole (e francamente poco azzeccato) titolo italiano farebbe pensare più ad un film dalle tematiche poliziesche. Non che sia priva di echi noir, ma l'opera di Godard vuole piuttosto mettere a fuoco il disagio della classe borghese, in connubio con l'irrazionalità del sentimento chiamato amore. E lo fa bene, infarcendo questo disomogeneo disegno con colte citazioni, poesia, scenari penetranti, quasi onirici. La parola prende il sopravvento sull'azione. Ferdinand e Marianne paiono due lontane silhuoette che tremulano in mezzo ad un esteso deserto quale è l'etica dei giorni nostri. Il baratro, per entrambi, è in cotanta follia l'ultima, congrua, fermata di un tir carico di esplosivo. Convincenti le interpretazioni, simpatiche le incursioni musicali, un po' troppo repentini gli strappi nella narrazione. Non di semplice visione, ma indubbiamente di spessore.

★★★★☆
4/5

lunedì 1 agosto 2011

L'ULTIMO DEI MOHICANI

(The Last of the Mohicans) Di Michael Mann. Con Daniel Day-Lewis, Madeleine Stowe. USA 1992. Storico, 117 min.



1757, Nordamerica. Una famiglia di pellerossa, della quale fa parte anche il bianco Nathan, detto Occhio di Falco, adottato dai nativi in tenera età, è coinvolta nello scontro tra inglesi e francesi durante la Guerra dei Sette Anni. Dopo aver prestato aiuto ad una comitiva inglese sotto attacco, si ritrovano a difesa del forte sotto il comando del colonnello Munro. Nel frattempo, sboccia l'amore tra Nathan e la figlia di Munro, Cora.
Ispirato da un romanzo del XIX secolo, già trasposto su celluloide un paio di volte. L'ossessione di Mann per l'epicizzazione anche del più semplice atto dei suoi eroi risulta stucchevole, a volte patetica, quanto la ridondanza ogni cinque minuti del tema musicale principale. La parabola da soap-opera, tra un bagno di sangue e l'altro, non aiuta. Spettacolarizzando per le masse il dramma storico, con massiccio ricorso alla cruenza, un auteur come Mann si salva in corner solo grazie ai curati scontri corpo a corpo, piuttosto che di noiosi colpi di cannone, alle scenografie e alla sublime fotografia. Occhio di Falco è un personaggio che ha presa, sebbene l'interpretazione del bravo Day-Lewis non abbia infondo niente di così speciale.

★★★☆☆
3/5

venerdì 22 luglio 2011

L'UOMO DALLA CRAVATTA DI CUOIO

(Coogan's Bluff) Di Don Siegel. Con Lee J. Cobb, Clint Eastwood. USA, 1968. Poliziesco, 100 min.



Il rude vice-sceriffo Coogan, dall'Arizona, viene inviato in missione a New York per recuperare un pericoloso criminale detenuto dalle autorità locali. Coogan si accorge dopo poco che le cose a New York non funzionano esattamente come dalle sue parti, e che per l'estradizione vi è bisogno di un tortuoso iter burocratico. Infischiandosene, decide di prendere con sé il malvivente, ma se lo fa sfuggire. La questione, per Coogan, si fa molto personale.
Il sodalizio tra Don Siegel e Clint Eastwood è noto per aver dato vita ad uno degli episodi più clamorosi del poliziesco americano, "Dirty Harry". Ancor prima di vestire i panni dell'ispettore Callaghan, Eastwood ha partecipato a questo western-poliziesco dove si mettono alla berlina i modi di fare e le contraddizioni tipiche di un southern man in un contesto più "civile". L'intento sprofonda un po' troppo negli stereotipi: irrequiete fanciulle che cadono come mosche ai piedi del macho Coogan, improbabili inseguimenti in moto, miracolose redenzioni dell'ultim'ora. Certo però che al film non manca grinta, trasmessa da un Eastwood gagliardo, che tra un pugno in faccia e una battuta al rasoio si guadagna pane e simpatia.

★★★☆☆
3/5

mercoledì 13 luglio 2011

LA MASCHERA DEL DEMONIO

(La maschera del demonio) Di Mario Bava. Con Andrea Checchi, Ivo Garrani, Barbara Steele. Italia, 1960. Horror, 86 min.



1830. Una coppia di studiosi, in viaggio per Mosca, si intrufola in un antico tempio dove si trovano custodite le spoglie di una strega, uccisa due secoli prima. Manomettendo una peculiare maschera, risvegliano lo spirito dannato della strega che, assetata di vendetta, comincia a mietere vittime in una famiglia a lei discendente.
Primo lavoro dell'influente, per lo meno in campo horror, Mario Bava. Cosa rimane, a distanza di mezzo secolo, di un film dalla traccia essenziale, poco articolata, e dagli effetti speciali oramai per forza di cose obsoleti? E' il suo essere scarno a rendere palpabile tutt'oggi quell'atmosfera tanto lugubre, da incubo. Bava fa leva sì sui classici cliché del film di paura, ma grazie a pochi ma efficaci mezzi crea immagini fortemente simboliche, capaci di scuotere, là infondo, lo spettatore. L'avvenenza gothic di Barbare Steele, poi, vale di per sé la visione.

★★★☆☆
3/5

venerdì 8 luglio 2011

PAT GARRETT E BILLY THE KID

(Pat Garrett and Billy the Kid) Di Sam Peckinpah. Con James Coburn, Kris Kristofferson, Bob Dylan. USA 1973. Western, 106 min.



Vecchi amici e compagni di scorribande, Pat Garrett e Billy the Kid si ritrovano d'un tratto l'uno contro l'altro. Pat ha accettato l'incarico di sceriffo della contea, ed ha il preciso ordine di ricacciare l'amico al di la' del confine, in Messico, assieme alla sua losca combriccola. Qualora Billy the Kid rifiutasse di lasciare il territorio degli Stati Uniti, dovrà essere eliminato. Tra i due scattano le scintille.
Crepuscolare western di Peckinpah, dove la luce si fa fioca sia sul versante ambientale, dove si respira la fine di un'era, ma soprattutto sul versante dei personaggi stessi. Billy the Kid si dibatte malinconicamente dinanzi ad una morte violenta certa, e a Pat Garrett non basta una stella da sceriffo per far sparire quei fantasmi della vecchiaia che infestano la propria mente e offuscano un passato fatto di oro e temeraria fama. Una caccia che procede forse un po' affannosamente, accompagnata dalle lucenti ballate di Bob Dylan. L'impressionante scia di morte che si lascia Pat Garrett alle spalle fa pensare ad un destino ineluttabile, ad una catastrofe annunciata che niente e nessuno potrà fermare. Lo stesso Pat Garrett altri non è che una marionetta mossa da un qualcosa di superiore. Regia giustamente polverosa, del resto Peckinpah in fatto di western può solo insegnare, e profondo Coburn. Curioso il ruolo di Dylan.

★★★★☆
4/5

venerdì 1 luglio 2011

BERSAGLIO DI NOTTE

(Night Moves) Di Arthur Penn. Con Gene Hackman, Melanie Griffith. USA, 1975. Drammatico, Giallo, 99 min.



Harry Moseby, poliziotto privato, assiste quasi rassegnato al disfacimento della sua relazione coniugale. Preso più dal lavoro che dalla moglie, viene assunto da una vecchia attrice per ritrovare l'alquanto vivace figlia sedicenne Delly, che ha fatto perdere le proprie tracce. Gli indizi lo porteranno fino in Florida, dove comincerà a comprendere che gli interessi in gioco sono di ben altro tenore.
La trama noir del film di Penn è di se per sè non eclatante (non a caso finoltre la metà del film segue un percorso piuttosto lineare), ed Harry Moseby è di se per sè un detective non brillantissimo. Ciò che impressiona di "Bersaglio di Notte" è piuttosto lo scavare tra la fragilità di un protagonista non privo di macchie e tra le umane avidità che si attorcigliano al collo degli svariati personaggi fino al soffocamento. L'amore libero e scandaloso professato dalla giovane Delly finisce con l'apparire infine innocente a fronte della vile passione per il Dio Denaro nutrita dagli adulti che la circondano. Se esiste un Paradiso, pare dirci Penn, per il genero umano esso non resterà altro che un miraggio. Buone interpretazioni in generale, in primis Hackman, ma un montaggio delle scene a tratti addirittura ridicolo.

★★★*☆☆
3,5/5

lunedì 13 giugno 2011

UN GIORNO DI ORDINARIA FOLLIA

(Falling down) Di Joel Schumacher. Con Barbara Hershey, Robert Duvall, Michael Douglas. USA 1993. Grottesco, 115 min.



Los Angeles. Rimasto bloccato nel traffico in una giornata bollente, quello che parrebbe un cittadino modello si trasforma in un violento schizoide mosso da un unico intento: portare il regalo di compleanno alla figlioletta, in affido alla ex-moglie. Sulle sue tracce si getta uno stagionato poliziotto, al suo ultimo giorno di servizio.
Satira sulla frenesia della vita metropolitana, è essenzialmente un prodotto più di puro intrattenimento piuttosto che dai fini didattici. Le vignette urbane dove si compiono le gesta del disperato Bill sconfinano spesso nell'inverosimile, sebbene non si possa certo dire che difettino di mordente (almeno fino alla prima metà di film). La police-story invece è, per quanto banalotta e poco arguta, simpatica. Stessa simpatia che arieggia su un protagonista che è infine vittima, lacerato tra gli ingranaggi inarrestabili della società industriale,e a cui il volto di Douglas dona una ipnotica nevrosi.

★★★☆☆
3/5

mercoledì 8 giugno 2011

BIUTIFUL

(Biutiful) Di Alejandro Gonzalez Inarritu. Con Javier Bardem, Maricel Álvarez. Messico, Spagna, 2010. Drammatico, 128 min.



La vita di Uxbal è già complicata di suo, tra il dover crescere due figli con una madre distante, affetta da disturbo bipolare, e il guadagnarsi il pane dirigendo traffici illeciti nei vicoli più bui di Barcellona. Ma quando gli viene diagnosticato un cancro alla prostata che non lascia scampo, tutto pare veramente precipitare. Per Uxbal comincia una lotta contro il tempo per salvare il salvabile, e garantire ai propri bambini un futuro dignitoso.
Chi ha già preso visione di altri lavori del king of pain messicano Inarritu, si renderà subito conto che in "Biutiful" sono assenti quei continui sbalzi spaziali che contraddistinguevano "Amores Perros", o "Babel". In "Biutiful", Inarritu pare non voler ricorrere a certe meccaniche per giostrare le tragedie dei suoi personaggi, vuole bensì essere assolutamente diretto. La storia di Uxbal, stridente sovrapposizione tra padre di figli e figlio di un padre mai conosciuto, è infatti lineare: è un uomo condannato a morte dalla malattia, punto. Su Bardem, credibile maschera dell'umano dolore, il regista materializza piano a piano demoni ai quali lo spettatore non può fuggire, semplicemente perché nel tempio dove si celebra questo lungo funerale non filtra alcun raggio di sole. La Barcellona di "Biutiful" non è la Barcellona piena di colori di una cartolina postale, ma è una Barcellona che puzza di rancido, dove i suoi abitanti devono tenersi con tutte le forze stretti alla corda, se non vogliono cadere giù, nell'oblio. Il film diviene così anche occasione per documentare alcune realtà, come quella dei cinesi o di Ige l'africana, che i nostri occhi non vedono, o non vogliono vedere. Sebbene corra il rischio di minare la credibilità dell'opera, donando superpoteri a Uxbal e raffigurando momenti post-mortem fin troppo personali, a Inarritu il saggio sulla morte riesce meglio che ad Eastwood ("Hereafter"). Gli acquerelli musicali di Gustavo Santaolalla si sposano a meraviglia con le azzeccate inquadrature di disagio metropolitano.

★★★★☆
4/5

sabato 4 giugno 2011

I TRE GIORNI DEL CONDOR

(Three days of the Condor) Di Sydney Pollack. Con Robert Redford, Max von Sydow, Faye Dunaway. USA 1975. Drammatico, 117 min.



Un reparto della CIA, adibito al controllo di libri e di giornali al fine di portare alla luce idee sovversive, viene completamente soppresso nel sangue da alcuni misteriosi sicari. Per puro caso, Joseph Turner, nome in codice Condor, scampa però all'attentato. Resosi conto dell'impossibilità di fidarsi di alcuno e in preda alla paranoia, Condor sequestra una ragazza, Kathy, e si rifugia nel suo appartamento. Gli uomini che gli danno la caccia sono però tutt'altro che sprovveduti, e riescono con facilità a rintracciarlo. Tra istinto di sopravvivenza e passione che cresce per Kathy, Condor tenterà di scoprire il motivo che ha portato all'eliminazione dei suoi colleghi.
Adattamento del romanzo “I sei giorni dei condor” di James Grady. Un puzzle cospirativo. Pollack è genio di suspance nel riuscire a far sentire braccato lo spettatore stesso, nel far accelerare il battito cardiaco in sequenze convulse come un tête-à-tête col sicario in ascensore. Facendo leva su due bravi interpreti, Redford e Max von Sidow, dà carisma a quelli che poi sono i due personaggi principali del film, il protagonista Condor e il solitario Joubert. Ma ancor più di Condor, è proprio con quest'ultimo che riesce a far breccia, dipingendo un'anima cinica che pare contare i giorni che gli restano da vivere portando a termine le altrui esistenze, celebrando delle vere e proprie messe della disillusione. Peccato che non sempre Pollack riesca a essere chiaro, a volte addirittura credibile (la cieca fiducia di Kathy nei confronti di Condor), e che l'intrigo vada con accuratezza seguito, riavvolgendo pure il nastro, per comprenderne il reale spessore.

★★★*☆☆
3,5/5

lunedì 30 maggio 2011

127 ORE

(127 Hours) Di Danny Boyle. Con James Franco. USA, Gran Bretagna, 2010. Avventura, 90 min.



In cerca di un po' di solitudine e di un po' di pura avventura, il ventottenne Aron si lancia in un'intrepida escursione per le desolate montagne rocciose dello Utah. Sebbene esperto di trekking, è vittima di un incidente e il suo braccio rimane incastrato sotto un pesante masso. Dimenticato dal mondo e a corto di provviste, fra angosce e tetre meditazioni dovrà escogitare il modo di liberarsi da una trappola che rischia di fargli fare la fine del topo.
Tratto da un evento realmente accaduto. Si comincia da uno strano incrocio tra un videogame e un documentario naturalistico, si passa per lo schock della sciagura (all'incirca al minuto 20), e si scivola lentamente, banalmente, senza veri colpi di scena, verso il termine (all'incirca al minuto 90). Certo, non deve essere stato semplice per Boyle inventarsi del cinema in qualche metro racchiuso tra le rocce. Ciò che infastidisce di più, però, è la solita messa in scena della redenzione che arriva in punto di morte, scandita a colpi di patetici flashback e visioni paranormali. E nel finale, abbiamo pure un po' di splatter. Boyle ambiva probabilmente a dar vita ad un nuovo “Into the wild”, ma qua manca tutta la genuinità e la poesia dell'opera di Penn. Di buono c'è il lavoro svolto con le telecamere, e, in alcuni frangenti, l'ispirata interpretazione di Franco.

★★*☆☆
2,5/5

mercoledì 18 maggio 2011

BRONX

(A Bronx Tale) Di Robert De Niro. Con Robert De Niro, Chazz Palminteri, Lillo Brancato. USA 1993. Drammatico, 115 min.




Bronx, anni '60. Calogero, a soli 9 anni, è già affascinato dai loschi personaggi che popolano il quartiere italoamericano, in particolar modo dal boss Sonny. Un giorno, Sonny uccide un uomo proprio sotto i suoi occhi. Chiamato a testimoniare, Calogero mente per non mettere nei guai il gangster che, riconoscente, prende il fanciullo sotto la sua protezione, nonostante la contrarietà dell'onesto padre, Lorenzo.
Esordio dietro la cinepresa per De Niro. "Bronx" pecca, nella prima parte, un po' troppo di citazionismo nei confronti dei maestri, vedi Coppola e Scorsese, che hanno diretto De Niro in opere del genere, sebbene la rappresentazione avvenga con stile dignitoso. In effetti, i personaggi tipici del quartiere vengono dipinti con cura e con un pizzico di sana ironia. La seconda parte, grazie alla tematica razziale e al messaggio morale più intonato, offre qualcosa in più. La scia di morte è la dichiarazione che il crimine non paga. De Niro, forse distratto, recita con prudenza, lasciando il segno meno di altre uscite. Ma la regia e il montaggio, dal sapore nostalgico, sono una sorpresa. Gli appassionati di mafia-movies aggiungano mezza stella in più.

★★★*☆☆
3,5/5

domenica 15 maggio 2011

LA TRAGEDIA DI UN UOMO RIDICOLO

(La tragedia di un uomo ridicolo) Di Bernardo Bertolucci. Con Ugo Tognazzi, Anouk Aimée, Laura Morante. Italia 1981. Drammatico, 110 min.



La vita di Primo Spaggiari, proprietario di un caseificio della Bassa Padana, viene sconvolta dal sequestro del figlio a scopo di estorsione. Riluttante al separarsi dai tanto sudati possedimenti per ricavarne la somma richiesta dai rapitori, quando saprà della morte del figlio tenterà meschinamente di volgere a proprio favore la situazione, allo scopo di salvare l'amata impresa dalla bancarotta.
Bertolucci dirige Tognazzi in un amaro valzer sul declino morale umano. Il giallo della scomparsa del figlio, dai risvolti finali piuttosto chiaroscuri, e il sordo grido della gioventù ribelle passano in secondo piano, a fronte della inesorabile disamina riguardo la vecchiaia, puntellata spesso da battute acuminate. Primo Spaggiari è uomo straniero nel suo stesso nido, riscaldato nell'animo solo dalle forme che lui stesso ha levigato. Osservatore consapevole del suo navigare in acque profonde, è tanto inerte da rimanere quasi sorpreso dalla propria finale redenzione. C'è poi la classe di Bertolucci nell'inquadrare il disagio, e c'è anche la bravura di Tognazzi a spruzzare agrodolce sul personaggio principale.

★★★*☆☆
3,5/5

giovedì 12 maggio 2011

SFIDA INFERNALE

(My darling Clementine) Di John Ford. Con Henry Fonda, Linda Darnell, Victor Mature. USA 1946. Western, 97 min.



Wyatt Earp e i fratelli sono mandriani di passaggio nell'Arizona. Uno di essi, James, una notte viene assassinato da ignoti, a quanto pare durante una rapina del bestiame. Wyatt decide di fermarsi nel villaggio di Tombstone, accettando l'incarico di sceriffo propostogli dal sindaco. Affiancato dal duro della città, l'ex chirurgo Doc Holliday, comincerà a dar caccia agli assassini.
Il maestro del western John Ford riesce a dar tono ad un'opera dal seppur povero bianco e nero ricorrendo ad una sapiente messa in scena della vita dei saloon e delle pistole fumanti. Alla tormentata storia di Doc Holliday, trincerato dalla malattia e dall'incerta passione, dà corpo e anima un capace Mature. Impressiona la verosimile esplosione di violenza finale, per un film che ha già più di mezzo secolo. Più che western, un film storico, fatto di eroi di tempi ormai andati.

★★★★☆
4/5

IL GIGANTE

(Giant) Di George Stevens. Con Rock Hudson, Elizabeth Taylor, James Dean. USA 1956. Drammatico, 201 min.



Storia di una famiglia, proprietaria terriera nel gigantesco Texas. Bick Benedict e Leslie Lynnton: dall'incontro nel Maryland al matrimonio, dalle tempestose incompresioni alle appassionanti riconciliazioni, tra i figli e la mina vagante Jett Rink, ex-bracciante dei Benedict, divenuto ricco e da sempre innamorato di Leslie.
Epopea familiare dai rintocchi di campana sudisti, cammino negli usi e costumi dell'assolato, polveroso Stato della Stella Solitaria. Con diversi spunti di certo non tediosi, anzi stuzzicanti, per chi vuole scoprire certe dinamiche d'oltreoceano, così lontane, così vicine. La lunghezza della pellicola rischia però di far sprofondare nelle poltrone. Dean titaneggia, poco prima della fatale dipartita.

★★★*☆☆
3,5/5

giovedì 5 maggio 2011

SOURCE CODE

(Source Code) Di Duncan Jones. Con Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan. USA, Francia, 2011. Fantascienza, 95 min.



L'ufficiale militare Colter Stevens si risveglia improvvisamente su un treno a Chicago, ignaro di come possa esservi giunto. Dopo pochi, confusionari attimi, il treno esplode. Stevens si risveglia ancora, stavolta in uno spazio stretto, al buio. E' qua che gli viene comunicato di essere al centro di un'operazione al fine di sventare un catastrofico attentato terroristico. Per farlo, dovrà tornare nel passato e individuare il responsabile di un attentato già verificatosi, ma avrà ogni volta solo otto minuti di tempo prima della deflagrazione.
Accingendo alla fonte della fantasia di Philip K. Dick, il film del promettente Duncan Jones conquista grazie a un intelligente mix di azione e puzzle, più un tocco di filosofia. Anche se pare scivolare in qualche stereotipo di troppo nel dar sostanza alla struttura (il solito terrorista pazzoide, la smanceria per l'eroe), ciò che conta è lo scioccante meccanismo intorno al quale le vicende ruotano. La fine dei fatidici 8 minuti è sì sempre scontata, ma ogni volta Duncan riesce a riaccendere l'attenzione innestando un indizio in più per la caccia al criminale, e facendo sempre pendere la Spada di Damocle sulle reali sorti del protagonista, infine commoventi. Il tetro ambiente dove Stevens si muove dipinge l'incertezza umana dinanzi al baratro della morte, e fa da preludio ai risvolti metafisici finali. Dove è il vero, e dove il falso? E' reale ciò che possiamo toccare? Siamo artefici o prodotto di altri universi paralleli? "Source Code" riesce a insinuare questi dubbi al momento dei titoli di coda, senza risultare prolisso.

★★★*☆☆
3,5/5

venerdì 29 aprile 2011

A SANGUE FREDDO

(In cold blood) Di Richard Brooks. Con Robert Blake, Scott Wilson. USA 1967. Drammatico, 134 min.



Due ladruncoli di poco conto, Dick e Perry, decidono di unire le forze per mettere a segno il colpo della vita. Un vecchio compagno di cella di Perry, infatti, ha confidato che un agricoltore di una cittadina del Kansas tiene all'interno del suo casolare una cassaforte gonfia di dollari. Nella fatidica notte, però, qualcosa va storto, e i due finiscono col compiere una carneficina. All'indomani, scatta la caccia della polizia.
Tratto dal romanzo di Truman Capote, a sua volta ispirato da un vero fatto di cronaca avvenuto nei primi anni '60. Un viaggio nella subdola psiche umana, dove l'incalzante colonna sonora e il raffinato bianco e nero tengono a braccetto Dick e Perry in una palpitante fuga on the road più da loro stessi che dalle autorità. Lascia il segno soprattutto la personalità del visionario Perry, tormentata da un subconscio infantile e da allucinazioni da incubo, che esplode come una bomba in una polveriera spersa nei campi. Palese l'epilogo, per due facce così perdenti, spiccato da un interrogatorio serrato dove si respira l'aria da ring di boxe. Se Wilson pare il più brillante inizialmente, Blake alla distanza gli toglie le luci dei riflettori, predicando una viscerale follia. Brooks ha dato vita ad un film teso che, dopo più di 40 anni, fa rabbrividire più dei tanti polpettoni horror dei giorni nostri.

P.S.: "Truman Capote: a sangue freddo", del 2006, non si tratta esattamente di un remake del film in recensione, essendo piuttosto una parziale biografia dello scrittore americano.

★★★★☆
4/5

giovedì 28 aprile 2011

IL TEMPO CHE CI RIMANE

(The time that remains) Di Elia Suleiman. Con Elia Suleiman. Gran Bretagna, Italia, Belgio, Francia 2009. Drammatico, Grottesco, 105 min.




Le travagliate vicende della famiglia arabo-palestinese di Elia vanno a braccetto con la storia del proprio popolo: dalla nascita dello Stato d'Israele, passando dalla resistenza silenziosa, fino ai giorni nostri. Elia traccia così una linea narrativa, che congiunge le gesta dell'eroico padre alla propria, quasi disillusa, contemplazione del problema mediorientale.
"Il tempo che ci rimane" illustra una delle pagine più scure di politica internazionale con taglio brioso, mettendo in scena situazioni sibilline, al limite del paradosso e del grottesco. Non è certamente semplice far sorridere trattando una tematica tanto delicata, soprattutto per un regista che a riguardo si porta dietro ferite ancora aperte. Di questo, va dato merito a Suleiman. Ma il meccanismo è ben oliato nella prima parte di film, forse aiutato anche da un tocco di pathos in più, mentre s'inceppa nella seconda, dove i lunghi silenzi risultano infine tediosi. Suleiman si è dimostrato un buon poeta, ma ha portato sul grande schermo un'opera chissà fin troppo personale. Celebrato da più voci critiche, dà l'impressione che basti tirar fuori un discreto film riguardo la questione palestinese per far gridare "Capolavoro!".

★★★☆☆
3/5

martedì 19 aprile 2011

QUALCOSA E' CAMBIATO

(As good as it gets) Di James L. Brooks. Con Jack Nicholson, Helen Hunt, Greg Kinnear. USA 1997. Commedia sentimentale, 130 min.



Nonostante l'eccezionale talento creativo nella scrittura di romanzi romantici, lo scrittore Melvin Udall è profondamente misantropo. Come se non bastasse, è affetto da innumerevoli ossessioni. Un mix micidiale che lo rende inavvicinabile per chiunque, compreso il suo vicino di appartamento, un pittore omosessuale. L'unica persona che riesce a tollerarlo pare sia Carol, una cameriera del suo ristorante preferito. Un brutto incidente del vicino e l'interesse crescente verso Carol indurranno Melvin ad un seppur non semplice cambiamento.
Commediola squagliacuori dal forte gusto di chewing-gum, deve principalmente la popolarità al fatto che entrambi i suoi attori principali si sono portati a casa l'Oscar per la migliore interpretazione. La Hunt promana commovente sincerità (con merito pure dei delicati lineamenti), mentre Nicholson è una tempesta nel deserto, spettacolare quanto fastidiosa. Il resto è per lo più fuffa. Se nella prima parte di film gli atteggiamenti di Melvin possono far breccia, e alcune sue acide battute far ghignare, nella seconda il condensato di miele è quasi repellente. La favoletta di Afrodite che con la bacchetta cambia le persone si prolunga per più di due ore prive di ravvisabili bagliori, quando sarebbero serviti 90 minuti scarsi. Da prendere prudentemente alla leggera.

★★*☆☆
2,5/5

giovedì 14 aprile 2011

IL LUNGO ADDIO

(The Long Goodbye) Di Robert Altman. Con Sterling Hayden, Elliott Gould. USA 1973. Drammatico, 112 min.



In una notte insonne, il detective Marlowe riceve la visita di un caro amico, Terry Lenox, che gli chiede un passaggio al di là del confine USA, in Messico. Il giorno seguente, due federali fanno irruzione in casa di Marlowe e arrestano il detective. L'amico ha ucciso la propria moglie, e lui viene accusato di complicità nell'omicidio. E' infine scarcerato, poiché Terry, suicida, si è assunto la piena responsabilità dell'accaduto. Ma a Marlowe la storia non va giù, e la verità viene sempre a galla.
Il detective Marlowe, al centro di numerosi romanzi dello scrittore Raymond Chandler, ha vissuto svariate trasposizioni cinematografiche, tra cui "Il Grande Sonno" con Bogart. Lento e tortuoso (ma sempre coinvolgente) il levigarsi del mistero, Altman mostra classe nel tappare certi pericolosi vuoti ricorrendo a quella vena ironica che mai gli è mancata durante la carriera. A renderla manifesta ci pensa lo scanzonato Gould, dalla simpatia ipnotica e con la battuta azzeccata sempre a portata di mano. Ma sarebbe riduttivo affermare che siamo di fronte ad un'opera nera celebrata unicamente da toni leggeri. Altman va ben più a fondo, facendosi beffe degli stereotipi hollywoodiani, e riflettendo, o meglio facendo riflettere, sui risvolti di un'amicizia incondizionata e sulla vita nella penombra dei virtuosi in un mondo viscido, opportunista. Virtuosi come lo scrittore Roger Wade, che fa non a caso una fine funesta. Virtuosi come Philip Marlowe, di certo non sempre infallibile, ma i cui alti valori lo guidano fino ad una verità beffarda alla quale però reagisce, colto quasi da un'improvvisa crisi d'identità. E dando spettacolo.

★★★★*☆
4,5/5

mercoledì 13 aprile 2011

LADY VENDETTA

(Sympathy for Lady Vengeance) Di Chan-wook Park. Con Lee Yeong-ae. Corea del Sud 2005. Drammatico, 110 min.



Dopo tredici lunghi anni di prigionia, una donna colpevole di aver ucciso un bambino viene scarcerata. Apparentemente riprende un'esistenza normale: si trova un modesto lavoro, ricontatta la figlioletta in affido ad una famiglia straniera. Ma tutti coloro che hanno conosciuto Lee Geum-ja all'interno del penitenziario, non riescono a riconoscere in lei quella gentile fanciulla sempre pronta ad aiutare le altre detenute. Effettivamente, Lee Geum-ja sta architettando un liberatorio piano di vendetta.
Il sudcoreano Chan-wook Park si è reso celebre nel mondo del cinema grazie ad una trilogia orientale sulla vendetta, comprendente "Mr.Vendetta", "Oldboy" (generalmente apprezzato come il migliore) e appunto "Lady Vendetta". Forse consapevole di aver toccato, con "Oldboy", vette di violenza e di crudità poco sostenibili per uno stomaco standard, qua Chan-wook Park si lascia andare più in un'introspezione dell'animo femminile e materno. Senza però disdegnare totalmente i momenti cruenti. Privo di particolari colpi di scena il plot, il mestiere risalta più nei filosofici dialoghi, nelle inquadrature che giocano coi fiocchi di neve, nella sanguinaria sacralità con la quale viene preparato il giudizio finale per il peccatore. La narrazione a flashback che si protrae per buona parte del film può disorientare, essere quasi d'impaccio con il procedere degli eventi, ma contribuisce paradossalmente ad accrescere quell'alone di mistero che avvolge la protagonista. L'accompagnamento musicale, classico, attribuisce solennità.

★★★*☆☆
3,5/5

lunedì 11 aprile 2011

IL CIGNO NERO

(Black Swan) Di Darren Aronofsky. Con Natalie Portman, Vincent Cassel. USA 2010. Drammatico, 110 min.



La fragile Nina è una delle ballerine più promettenti del New York City Ballet. Ore e ore di sedute di allenamento, tese a perfezionare il proprio stile, paiono infine ricompensate quando il direttore coreografo le offre la tanto agognata chance: il ruolo di protagonista nel suo rifacimento de "Il Lago dei Cigni". Tanto a suo agio nella parte aggraziata del Cigno Bianco quanto titubante in quella aggressiva del Cigno Nero, Nina comincia a temere di non essere all'altezza, serrata da una madre iperprotettiva e da una procace collega decisamente rampante.
Aronofsky si conferma, assieme a Inarritu, uno dei grandi poeti del dolore in celluloide. Con "Il cigno nero" riporta sul grande schermo essenzialmente i temi di "The Wrestler": la dura scalata per render gloria alle proprie passioni, la solitudine del campione, le umane paure che si celano dietro la patina lucente dell'eroe. Le varianti qua stanno nel sesso del protagonista, femminile, nell'atmosfera, notturna, portata ai limiti dell'incubo, e ovviamente nel tema cardinale, la danza. Non è da qualunque film tanto profumo di paranoia. In questo il regista deve ringraziare la sublime Natalie Portman, che dà spirito a quel personaggio centrale dagli sguardi incerti e le labbra tremanti, un caso psicanalitico. E bravo anche Cassel. Soffia sempre un vento d'incertezza sulle sorti di Nina, il che garantisce la piena tenuta della trama nel suo evolversi. Raffinata la coreografia delle scene di ballo, Aronofsky dimostra di saper ben gestire una cinepresa anche sul palco di un teatro.
Affossato da parte della critica sulla base di due ragioni: 1) le scene a luci rosse, che potrebbero star bene in un film porno; 2) le scene di delirio di Nina, che potrebbero star bene in un film di Cronenberg. Inoltre la protagonista si lagna troppo, per poter accattivarsi simpatie.
Morale della favola: per svettare nella vita non basta essere sé stessi, come ti hanno detto sin da bambino e come si è sentito probabilmente dire Nina da sua madre, ma devi fare i conti anche con la sponda del fiume opposta a quella sulla quale siedi.

★★★★☆
4/5

giovedì 7 aprile 2011

LA RAGAZZA DEL LAGO

(La ragazza del lago) Di Andrea Molaioli. Con Toni Servillo. Italia 2006. Giallo, 93 min.



Sulle sponde di un lago nel Friuli viene rinvenuto il corpo privo di vita di una bellissima ragazza. Spetta all'ispettore Giovanni Sanzio occuparsi del misterioso caso. Durante lo svolgimento delle indagini nel paesino di appartenenza della giovane, compiute con spietata disinvoltura, Sanzio dovrà affrontare anche spinosi nodi familiari: il vuoto rapporto tra lui e la figlia, e la grave infermità mentale della moglie.
Esordio alla regia di Molaioli, ispirato da un romanzo norvegese di Karin Fossum. Giallo dall'andatura lenta, chissà un tantinello soporifera, e comunque non eccezionalmente sofisticato. Il lavoro che interessa di Molaioli è quello svolto sulle trame umane su due opposti versanti: quello interno, tra le mura familiari domestiche, e quello esterno, in un paese di provincia apparentemente quieto (composto da personaggi a volte verosimili, a volte di cartapesta). Tocca il cuore la meditazione sulla malattia, che si dipana attraverso tre personaggi, tre storie. Competenti le interpretazioni in genere, spicca su tutte ovviamente la prova di Servillo, certamente uno dei migliori attori del panorama italiano attuale.

★★★☆☆
3/5