martedì 18 dicembre 2012

L'ULTIMO RE DI SCOZIA

(The Last King of Scotland) Di Kevin Macdonald. Con Forest Whitaker, James McAvoy, Gillian Anderson. Gran Bretagna 2006. Drammatico, 122 min.

Giovane neolaureato in medicina, per fuggire da un oppressivo padre, lascia la Scozia e si lancia in un'avventurosa esperienza come medico volontario in Uganda. Sul Paese africano soffiano però venti di cambiamento: un colpo di stato sovverte i vertici governativi, e il generale Amin Dada diviene il nuovo presidente. Lo scozzese ne fa per caso conoscenza e finisce con l'essere il suo fido consigliere. Inizialmente entusiasta, conoscerà il subdolo effetto che provoca il potere sulla mente dell'uomo.
Negli anni 70, Amin Dada destituì l'allore Presidente ugandese Obote, trasformandosi per circa 10 anni in uno dei più spietati dittatori africani. Il film si ispira a tali vicende, sebbene gli aneddoti del plot siano chiaramente levigati per far sì che siano a misura di cinema. Credibile o meno, a Macdonald riesce bene la metamorfosi oscura dell'opera, da iniziale favola d'avventura a finale abominio delle umane gesta, senza apparenti pause narrative. Ma il vero spettacolo è Forest Whitaker, che incarna a perfezione la deriva psicologica di un personaggio così grande, così piccolo. E pare quasi dirci: anche l'uomo più potente del mondo, alla fine, si siede sulla tazza del cesso.

★★★*☆☆
3,5/5

sabato 8 dicembre 2012

L'ULTIMO SPETTACOLO

(The Last Picture Show) Un film di Peter Bogdanovich. Con Jeff Bridges, Ellen Burstyn, Timothy Bottoms. USA 1971. Drammatico, 120 min.

Anni 50. In una piccola cittadina americana chiamata Anarene, si consumano le ultime vicende adolescenziali di due amici per la pelle. Storie di donne, balli di classe, bagordi notturni, tiri mancini a compagni meno svegli. Ma l'età adulta bussa, inesorabile, alle loro porte, e la serenità lascia il posto alle incertezze, al vuoto di una realtà cruda, completamente distante da quella che proietta il cinema della città.
E' un mesto, ma vibrante, ritratto della noia di paese di campagna americano, probabilmente attuale ancor oggi a distanza di 40 anni. Ma per Bogdanovich è l'arma perfetta per suscitare nostalgia, rimpianti, domande senza risposta. "Dove mi trovo adesso? Cos'è questo vuoto? Quale strada devo imboccare?". La fine della giovinezza suona quanto mai a campane a morto, in quel di Anarene. I giovani Bridges e Bottoms danno l'impressione, volenti o nolenti, di non saper cosa combinare delle proprie vite anche al di là del set cinematografico. L'eccellente bianco e nero, la fotografia, fermentano il dolce sapore di questi glory days.

★★★★*☆
4,5/5

giovedì 28 giugno 2012

IL DITTATORE

(The Dictator) Di Larry Charles. Con Sacha Baron Cohen. USA 2012. Comico, 83 min.
Il dittatore del fantomatico stato nordafricano di Wadiya, Hafez Aladeen, famoso per essere dispotico, antisemita e fanatico delle testate nucleari, è invitato a New York al Congresso delle Nazioni Unite. Le alte sfere di Wadiya però architettano alle sue spalle un golpe con l'intenzione di portare la democrazia nello stato, mossa dettata però più da interessi economici che etici. Tagliato fuori e sostituito da un goffo sosia, Aladeen tenta il tutto per tutto per salvare la propria dittatura.
L'istrione Sacha Baron Cohen, diretto come da solito da Larry Charles, si lancia nell'impersonificazione stavolta dell'incubo ricorrente delle democrazie occidentali. Una satira che non risparmia nessuno, dalle dittature di stampo mediorientale al cinismo a stelle e strisce, arrivando fino al contestatore occupy-style degli anni zero. Si ride, in una trama più che lineare, tra battute effettivamente originali e gag pepate, sebbene gli eccessi per Baron Cohen ovviamente non manchino. E finiscano per ricercare un umorismo spinto, troppo volgare, che umorismo non è, se non per qualche teenager ebete. Poi chissà, è d'ammirare in parte il suo non aver peli sulla lingua.

★★★☆☆
3/5


martedì 19 giugno 2012

EYES WIDE SHUT

(Eyes wide shut) Di Stanley Kubrick. Con Nicole Kidman, Tom Cruise. Gran Bretagna 1999. Drammatico, 150 min.

William e Alice sono una coppia perfetta, sposati e con figlia. Una sera, invitati ad una festa, si lasciano rispettivamente andare ad un gioco di seduzione intrapreso da sconosciuti. Alice però si ingelosisce. A fine serata confessa al marito, un tipo pienamente sicuro di sé, che qualche tempo prima aveva provato una forte attrazione per un ufficiale, col quale aveva scambiato solamente qualche sguardo. Le convinzioni di William riguardo Alice sprofondano, come del resto la fiducia nel loro legame sessuale. Tutti dubbi che lo condurranno nientemeno che ad una villa dove una setta pratica rituali orgiastici.
L'ultima fatica di Kubrick prima della morte rimarrà ricordata come il suo rompicapo cinematografico per eccellenza. Un labirinto all'interno della psiche umana, una sbirciatina nel mondo oscuro della sessualità sottocutanea, non sempre facile da decifrare (e digerire, motivo per il quale, quando uscì, a molti fece storcere il naso). Più spaccato sociale nella prima parte, più noir nella seconda, "Eyes wide shut" fa del mistero che sprigiona man mano che il tempo scorre la sua forza trainante. Immagini forti, talvolta vagamente da film del terrore, e l'accompagnamento musicale ipnotizzante suggellano il Gran Guignol delle passioni forti. Dietro famigliole che celebrano il breakfast insieme e feste d'alto bordo, la perversione è un lungo serpente che si muove mimetico nella vita quotidiana, senza risparmiare alcuno. Un lungo serpente il cui morso può risultare fatale: solo i legami più solidi, distinti dal sentimento più genuino, potranno resistergli. Eccellente la Kidman, decente Cruise.

★★★★*☆
4,5/5

venerdì 8 giugno 2012

DUNE

(Dune) Di David Lynch. Con Kyle MacLachlan, Sean Young, Sting. USA 1984. Fantascienza, 132 min.

Il pianeta Dune è ricco di una materia chiamata "spezia" capace di donare poteri straordinari a chi la detiene. La "spezia" è una necessità per il popolo degli Harkonnen, che vogliono dominare l'universo. Ad opporsi al loro piano di sfruttamento ci pensa la casata degli Atreides del pianeta Caladan. Il rampollo della famiglia, Paul, è il messia destinato a guidare verso la salvezza il popolo di Dune, i Fremen.
Possibilmente il peggior film di David Lynch. C'è troppe storie da raccontare, troppi concetti da spiegare, troppi personaggi da introdurre strizzati in queste due ore e 10 minuti, col risultato che la vicenda può essere quantomeno chiara solo a chi effettivamente ha avuto occasione di leggere il romanzo. Vicenda, tra l'altro, non straordinamente originale. Nel trambusto generale, emergono alcune figure stuzzicanti, tipicamente lynchiane (il barone, in primis), e alcune trovate tecnologiche fantasiose. Il tutto si svolge in una costante, sottile aria da sogno. Il protagonista sarebbe stato interpretato meglio da Sylvester Stallone. Una saga in due o tre episodi avrebbe fatto decollare il progetto, così rimane piuttosto un videogame senza controller. Una parte pure per Sting.

★★*☆☆☆
2,5/5

I GIORNI DEL VINO E DELLE ROSE

(Days of wine and roses) Di Blake Edwards. Con Jack Lemmon. USA 1962. Drammatico, 117 min.

Joe ha problemi legati all'abuso di sostanze alcoliche, quando conosce la biondina Kirsten e se ne innamora. Ma non bastano un matrimonio e la nascita della figlia per fargli perdere il vizio, che anzi trasmette pure alla moglie, la quale diviene dipendente. Nonostante gli sforzi per darci un taglio, la coppia finisce col ricadere ogni volta nel vortice della "bumba". Joe, infine, dovrà adottare rimedi estremi.
Cruda ballata sulla dipendenza del bicchiere, che travestita da innocente spasso spinge giù da una discesa infernale i due protagonisti, verso l'autodistruzione, verso la disintegrazione familiare. Comincia senza particolarmente brillare, per poi assestare una dietro l'altra forti fitte al cuore, mediante le strazianti peripezie dei coniugi. Si finisce col fare il tifo per Joe, con l'incitarlo a mollare la "bumba"; ma nel film, come nella realtà, a chiacchere tutto è semplice. Viene così meno pure la certezza del legame affettivo, offuscata dai fumi alcolici.  Edwards intelligente nel rendersi conto che tematiche del genere difficilmente possono lasciar spazio a un lieto fine, e di fatti, sebbene senza condannare, lascia tutto in un desolante bilico, a due passi dal baratro.

★★★★☆
4/5

lunedì 4 giugno 2012

CHINATOWN

(Chinatown) Di Roman Polanski. Con Jack Nicholson, Faye Dunaway. USA 1974. Noir, 131 min.

L'investigatore Gittes viene assunto per far luce su solita vicenda di tradimento coniugale. Quando l'uomo che segue scopre morto in circostanze fosche, si rende conto di essere invischiato in qualcosa di decisamente più grosso. Mentre emerge una storia di corruzione dell'amministrazione losangelina, una morbosa storia familiare si palesa man mano che entra in confidenza con la sua avvenente cliente.
Nel film si fa riferimento a Chinatown come luogo dove la ragione della legge viene distorta a favore di sporchi meccanismi, e logiche, in ragione del vil denaro. Solo alla fine Gittes mette piede in tale zona franca, ma lo spirito di Chinatown ha sovverchaito ormai anche quelle certezze che vigevano al di là dei suoi confini. Da qui, il titolo del film. L'ispirazione è ovviamente Chandler: in Gittes rivive Philip Marlowe, sia per senso di riluttanza che prova nei confronti del suo lavoro, sia per  metodo d'indagine decisamente poco politically correct, sia per tagliente sarcasmo. Ma Polanski non si limita a tracciare le linee di una intricata spy story. Il marcio, il senso di desolazione, sgorga sempre più fuori man mano che l'investigatore si avvicina alla risoluzione del caso. La velata affinità con la femme Dunaway, leggiadra e inquieta, dà un leggero tocco di rosa all'opera, fa supporre un orizzonte felice, dopo tanto navigar nel tormento, ma il tragico epilogo fa tornare coi piedi sulla terra. Non basta una montagna di onestà per battere il vil denaro, ed effimere sono le soddisfazioni per il cuore. Siamo tutti cittadini di Chinatown, sentenzia Polanski.

★★★★*☆
4,5/5

venerdì 1 giugno 2012

I CANCELLI DEL CIELO

(Heaven's gate) Di Michael Cimino. Con Christopher Walken, Isabelle Huppert, Kris Kristofferson, Jeff Bridges. USA 1980. Drammatico, 211 min.

Alla fine del XIX secolo, in una contea degli Stati Uniti i potenti allevatori di bestiame dichiarano guerra ad una modesta comunità di contadini, immigrati dell'Est Europa, accusati di anarchia e rapina. Lo sceriffo Averill, dapprima riluttante, decide di aiutare la propria gente nell'impossibile impresa di sconfiggere il nemico a stelle e striscie. A spingerlo è l'affetto che prova per una prostituta, anch'ella di origini europee, che contende all'amico,traditore, Nate Champion.
Globalmente riconosciuto come il più grande fiasco della storia del cinema, "I cancelli del cielo" è figlio delle bizze di un regista certo talentuoso, ma che come Icaro volle volare troppo in alto. Lo sforzo (per lo più economico, della povera United Artists, in seguito fallita) nella sceneggiatura, nelle scenografie, nella mirabolante fotografia, si perde nel traboccante lago di minuti dell'opera. Dall'andatura terribilmente lenta, e dalla comprensione minata dai colloqui in lingua iper-originale, Cimino pare abbia girato un kolossal per il semplice gusto di riguardarselo in casa, da solo , maledicendo il mondo esterno. Nella seconda fase prende un po' quota, con l'arrivo dell'azione e della cruda drammaticità, ma la battaglia conclusiva è quantomai confusionaria. Cimino riuscì pure a rovinare la carriera al buon Kristofferson. Comunque un'esperienza da provare, se non altro perchè è un piacere per gli occhi. E per i più temerari, c'è la versione originale: più di 5 ore.

★★★☆☆
3/5

martedì 29 maggio 2012

QUANDO L'AMORE BRUCIA L'ANIMA

(Walk the line) Di James Mangold. Con Joaquin Phoenix, Reese Witherspoon, Robert Patrick. USA 2005. Biografico, 135 min

Johnny è poco più di un fanciullo quando suo fratello maggiore viene a mancare a causa di un incidente lavorativo. Cresce coltivando sensi di colpa, alimentati dalla diffidenza del padre, e sposa una ragazza che non lo capisce del tutto. Aggiungendo pure gli stenti economici, l'unica cosa che riesce a far sorridere Johnny è la musica. Sebbene dotati di scarse qualità tecniche, lui ed un paio di amici riescono ad ottenere un contratto da parte di una casa discografica facendo esclusivamente leva sul cuore. E' l'inizio della carriera di uno dei più grandi cantanti country, Johnny Cash, e della sua vera storia d'amore, con la cantante June Carter.
La bio-pic di Mangold non smette di coinvolgere un solo secondo nell'arco delle oltre due ore. Amalgamando tematiche inerenti il disagio della Grande Depressione, cuori ribelli, scontri familiari e scorribande rock 'n' roll, il tutto condito fortemente da siparietti musicali condotti impeccabilmente da Phoenix, la vita di Johnny Cash difficilmente poteva essere portata meglio sul grande schermo. Di meglio, probabilmente, c'è solamente un buon libro. Non solo può regalare emozioni a chi già conosce il "man in black" e la sua opera, ma è ottimo anche per chi, per la prima volta, si avvicina alla mitica figura. Si può perdonare l'abbondanza di zucchero, perché anche da spettatori si finisce facilmente con l'amare Reese Witherspoon.

 ★★★★☆
4/5

lunedì 28 maggio 2012

J. EDGAR

(J.Edgar) Di Clint Eastwood. Con Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Armie Hammer. USA 2011. Biografico, 137 min.

Storia di J.Edgar Hoover, capo dell'FBI. Dai primi anni della lotta ai bolscevichi comunisti, a quella ai tremendi gangster dell'età probizionistica, Hoover e il suo bureau hanno dato per quasi 50 anni la caccia ad ogni genere di sovversivo sul suolo degli Stati Uniti. Un personaggio ambizioso, deciso, addirittura spietato, che nasconde però alcuni lati insospettabili, come la sudditanza nei confronti dell'apprensiva madre, e l'attrazione omosessuale per il braccio destro Clyde.
L'Eastwood regista ormai non stupisce più. Ormai il veterano Clint sforna a ritmo annuale prodotti di qualità inserendo semplicemente il pilota automatico, e "J.Edgar" non fa eccezione alla regola. Pure il montaggio e l'utilizzo di certe inquadrature pare abbiano ormai un marchio di riconoscimento. Chi si aspettava però un frenetico film poliziesco, o dalle forti tinte noir, rimarrà deluso. Eastwood si concentra più a scavare nelle viscere del suo protagonista, in modo particolare nella seconda parte, cercando di dimostrare come non esista l'uomo privo di debolezze. Una ricerca condotta un po' troppo lentamente, dove anche la narrazione a due binari temporali non pare essere di grande aiuto. Ci pensa un fantastico Leonardo Di Caprio (la sua migliore interpretazione?) a smuovere un po' le acque quando la staticità trionfa. Il finale riapre la lettura della storia di Hoover in chiave diversa, sebbene s'intenda facilmente che alcuni punti della vita di questo rilevante personaggio pubblico rimarranno per sempre oscuri. Prodotto di qualità, si diceva, ma Eastwood potrebbe presto apparire ridondante.

★★★*☆☆
3,5/5


mercoledì 23 maggio 2012

PREDATOR

(Predator) Di John McTiernan. Con Arnold Schwarzenegger, Carl Weathers. USA 1987. Azione, 107 min.

Un pugno di commandos, a cui capo vi è il corpulento maggiore Dutch, viene spedito in America Centrale per prestare soccorso all'equipaggio di un elicottero in panne in zona "calda". Ben presto Dutch si rende conto di essere stato ingannato: la sua non è una missione di soccorso, ma una vera e propria operazione militare architettata dalla CIA. Peggio ancora, un misterioso guerriero invisibile pare stia pedinando la compagnia con intenzioni non esattamente benevoli.
Capostipite di una successiva serie di spin-off, la fama di "Predator" è dovuta a tensione e fattore sorpresa. L'essenziale trama di film di guerra, pregna di smaciullamenti collettivi buoni con il pop corn, viene genialmente sovvertita dall'entrata in scena di un'entità irrazionale che sconvolge ogni banalità. La durata della pellicola allora comincia a scivolare via, quasi pattinasse sul sudore, sulle lacrime dei protagonisti. Ambientazione, che risulta una minaccia a priori (e qua forse, uno dei motivi del fallimento del sequel), ed effetti speciali, semplici ma sempreverdi a 25 anni di distanza, giocano un ruolo importante. E' vero, non c'è nessun messaggio etico nascosto tra le righe, come cercano di fare i film di fantascienza oggi, ma chi riesce a pensare a tanto col fiato del Predator sul collo? Uno Schwarzy al top della forma fisica fa quel che deve fare, senza meritare Award ma nemmeno sfigurare.

★★★★☆
4/5

lunedì 21 maggio 2012

13 ASSASSINI

(Juusan-nin no shikaku) Di Takashi Miike. Giappone 2010. Avventura, 141 min.

 Shimada è un esperto samurai chiamato ad attuare una congiura allo scopo di eliminare il fratello dello Shogun in carica, un uomo sanguinario che tratta i suoi sudditi al pari di bestie. Shimada raccoglie al suo fianco altri 12 guerrieri. Tra loro e il compimento dell'impresa vi è un vero e proprio esercito pronto a sacrificarsi nell'interesse dell'incolumità del proprio signore.
Takashi Miike, chi segue un po' il cinema nipponico lo saprà, è sinonimo di fiumi di sangue. Anche in "13 Assassini", ovviamente, la violenza la fa da padrona. Al di là di fendenti di spada e teste che rotolano, l'attenzione viene catturata dalla rappresentazione delle solenni tradizioni dell'antica società giapponese. Soprattutto, suggestiona lo scontro titanico tra due modi di intendere l'etica samurai: quella che giura dedizione eterna al signore, indipendentemente dagli atti che egli compia, e quella che è pronta a ribellarsi nel caso in cui i valori essenziali del rispetto della vita vengano compromessi, indipendentemente da chi li calpesti. Miike non rinuncia alla comicità nemmeno nei momenti più drammatici. La carneficina finale è quantomai esagerata, segnala di come"13 assassini" sia fondamentalmente più un film da divertimento che operazione storica seria.

★★★☆☆
3/5

giovedì 10 maggio 2012

BULLET IN THE HEAD

(Die xue jie tou) Di John Woo. Con Tony Leung. Hong Kong 1990. Drammatico, 120 min.

Tre amici abbandonano Hong Kong in cerca di fortuna, o più semplicemente di avventura, e approdano in un Vietnam in piena guerra, con lo scopo di vendere alcuni prodotti al mercato nero. La missione va immediatamente a picco, ma i ragazzi non demordono. La loro sete di denaro li fa scivolare nelle mani dei Viet Cong, dove il loro sadalizio finisce compromesso.
Tutto pare mescolato in un frullatore: si passa da matrimoni a regolamenti di conti, da rivolte di piazza a missioni di contrabbando, da bordelli pieni di puttane a campi di prigionia, da abbracci fraterni e pistolettate in testa. Non a caso, John Woo dovette ridurre di un'ora la durata della sua fatica. Ancor più assurdo il fatto che tre ragazzini di Hong Kong diventino esperti killer appena annusino l'aria del Vietnam. Eppure sarebbe un errore stroncarlo del tutto. Perché Woo è senza peli sulla lingua, e fa del crudo lo specchio per lo schifo che sta a giro per il mondo. Come ne "Il cacciatore", la guerra del Vietnam è un uragano che sconvolge relazioni interpersonali, prima strette, ora molli. Nel mare monstrum di drammi, l'apice è probabilmente il serrato scontro finale. Chissà, in versione integrale sarebbe stato qualcosa di memorabile.

★★★☆☆
3/5

WARRIOR

(Warrior) Di Gavin O’Connor. Con Joel Edgerton, Tom Hardy, Nick Nolte. USA 2011. Drammatico, 131 min.

Tommy e Brendan, fratelli, non si vedono da anni. La loro famiglia si è disgregata a causa del temperamento irascibile del padre alcolizzato, un tempo abile preparatore nel mondo degli sport di combattimento. A distanza di anni, le loro strade tornano ad incrociarsi nel più cruento dei modi: entrambi cercano riscatto, Brendan dal lato economico, Tommy dai fantasmi che ha in testa, in un torneo di arti marziali miste, cui vi partecipano i gotha mondiali della disciplina.
I film sulla boxe, o su altre discipline ad essa affiancabili, proprio non riescono a scindere il binomio violenza sul ring-disagio sociale. Fondamentalmente, giusto così che sia. O'Connor, in questo suo "Rocky" in salsa lotta libera, è bravo a scovare tra drammi umani vecchi come l'uomo (l'alcolismo) e nuove tragedie (la crisi economica, la guerra in Iraq). Questa base fa da preludio a sessioni di training, dimostrazioni muscolari, scontri sanguinosi tra le corde (diretti con eccellenti inquadrature) che per alcuni non costituiranno una gran novità dopo cento anno di cinema, ma è inoltre il punto di partenza, cosa ben più importante, del toccante, complesso rapporto triangolare padre-figlio maggiore-figlio minore. Se il lieto fine è quasi un obbligo, O'Connor lascia qualche ombra che impone l'angolo buio al personaggio intepretato dal bravo Nolte: in un mondo non rose e fiori, dove fratello incrocia la spada con fratello, non è ammessa una second chance per chi si è macchiato di abietti crimini in passato. Nemmeno chiedendo pietà in ginocchio.

★★★★☆
4/5

sabato 5 maggio 2012

TRE PASSI NEL DELIRIO

(Histoires Extraordinaires) Di Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini. Con Brigitte Bardot, Jane Fonda, Alain Delon, Terence Stamp. Italia, Francia, 1968. Horror, 120 min.

Tre vicende ispirate ai “Racconti straordinari” di E.A.Poe. Nella prima, una giovane, perversa feudataria perde la testa per il posato cugino. Rifiutata, brama contro di lui. Nella seconda storia, un ufficiale confessa ad un prete l'assassinio di un uomo uguale a lui in tutto e per tutto, sia per nome che per tratti somatici, che lo perseguita fin dall'età fanciullesca. Nell'ultimo, un attore inglese dalla vita sregolata giunge a Roma per prendere atto ad un fantomatico “western-cattolico”, attratto solo dalla possibilità di poter mettere le proprie mani su una Ferrari.
Tre celebri registi uniscono le forze nella non facile impresa di trasporre su celluloide alcuni racconti di Poe, cui tema principale è la scesa nei reami della follia della mente umana. Il primo episodio, di Vadim, dedicato alla capricciosa Frederika, è certamente il più debole. Raffigurare orgie e lussuriosi sfarzi che sbattono contro un amore a prima vista non è sufficientemente convincente per fondare la profonda crisi mentale. Il meglio si vede invece nella vicenda di William Wilson, diretta da Malle: avvince la perfidia più “genuina”, sfidata e sempre sconfitta dal misterioso clone del protagonista. L'intensità dello scontro tra le due antitesi fa rimpiangere che il tutto si risolva in poco più di mezz'ora. L'ultima parte sull'attore Dammit, girata da Fellini, è una lettura personale della pazzia, suggellata da fasi oniriche sibilline che esaltano le doti del regista. Rilevante è il modo in cui viene raffigurata l'”italianità” agli occhi di un english man. In summa, la pellicola mette sul palco le più ombrose bizze della razza umana, peccati biblici che vengono scontati con una pena a due teste: la perdita della ragione e la morte. Carrellata di attori degna dell'abilità dei registi, con uno Stamp superlativo.

★★★*☆☆
3,5/5

martedì 1 maggio 2012

IL GLADIATORE

(Gladiator) Di Ridley Scott. Con Russell Crowe, Joaquin Phoenix. USA 2000. Avventura, storico, 145 min.
Massimo Decimo Meridio, intrepido generale dell'esercito romano, conduce la sua ultima campagna militare in modo vittorioso, in terra straniera. L'imperatore Marco Aurelio, ormai vecchio, è prossimo ad abdicare: la sua intenzione è quella di affidare il potere nelle mani del Parlamento, piuttosto che in quelle dell'inadeguato figlio Commodo. Ma quest'ultimo, una volta al corrente di ciò, assassina il padre e si autoproclama nuovo imperatore. Geloso del prestigio di Massimo, Commodo cerca di toglierlo di scena ordinando ai suoi soldati di giustiziarlo e di eliminarne moglie e figlio. Massimo riesce a sottrarsi all'esecuzione e, da schiavo, rinasce gladiatore. Dal basso scalino sul quale poggia, cerca una furiosa vendetta nei confronti di colui che poggia su quello più alto. Riscrivendo il corso dell'antica Roma in modo assai chimerico, un po' vergognoso pure agli occhi di un modesto studente di storia, Scott fa girare a mille il motore de “Il Gladiatore” riversandovi epicità (a fiumi) ed enfasi dei due personaggi principali. Una vicenda di vendetta che di per sé ha poco di particolare, proposta e riproposta chissà in quante occasioni. La cruenza e l'adrenalina degli scontri, sia fuori che dentro l'arena, e l'impressionante sforzo nella ricostruzione dei costumi del mondo antico (non senza incongruenze, c'è da dirlo), fanno presto tralasciare il difetto. La presenza di un personaggio come Commodo, dalla psicologia perversa levigata da una cronica assenza di affetto, e che si risolve nell'attrazione incestuosa verso la sorella e nel bisogno di sentire la folla proclamare il proprio nome, certifica di come non siamo di fronte ad un film meramente fondato da spade e da sangue. Crowe con l'interpretazione di Massimo ha ottenuto celebrità ed un Oscar, e ha poi proseguito scimmiottando personaggi di simile carisma (in maniera sempre abbastanza brillante, c'è da dirlo). Per Phoenix niente statuetta, forse a causa di un personaggio troppo fastidioso, sebbene la sua recitazione non abbia nulla da invidiare a quella di Crowe, anzi in certe circostanze gli è superiore.

★★★★☆
 4/5

lunedì 30 aprile 2012

L'ULTIMO TERRESTRE

(L'ultimo terrestre) Di Gianni Pacinotti. Con Gabriele Spinelli, Anna Bellato. Italia 2011. Drammatico, 100 min.



Gli extraterrestri sono atterrati. Ma nessuno pare prestare particolare interesse all'epocale evento. Compreso Luca, ragazzo ormai non più giovanissimo, per quanto trincerato in una timidezza tipicamente adolescenziale. Cameriere presso una sala bingo dove svolge i compiti più sgradevoli, ha come unico amico un transessuale. I suoi sogni romantici hanno al centro una vicina acqua e sapone, con la quale però non riesce a costruire alcun tipo di relazione. L'arrivo degli alieni pare portare finalmente un cambio di marcia nella sua vita.
Una gradevole sorpresa dell'anno passato, questo “L'ultimo terrestre” dell'esordiente Pacinotti, sebbene i pareri troppo entusiastici vadano un po' tenuti a freno. L'idea di affiancare la formazione di un “homo bamboccionis” all'avvento dei dischi volanti è allettante, il siparietto tra il padre di Luca e l'aliena perfino esilarante, ma fondamentalmente l'espediente marziano rimane sullo sfondo, tanto che difficilmente si potrà parlare di film di fantascienza. In primo piano rimane, appunto, la ricerca d'identità del protagonista. Egregiamente interpretato da Spinelli, la sua conquista della maturità avviene fin troppo in modo frettoloso e a seguito di un paio di classici eventi shock nel finale, convincendo solo parzialmente. Si apprezzano di più le gag “sporche”, sparse qua e là. Comunque, buona la prima, signor Pacinotti.

★★★☆☆
3/5

martedì 28 febbraio 2012

V PER VENDETTA

(V for Vendetta) Di James McTeigue. Con Hugo Weaving, Natalie Portman. USA 2005. Fantascienza, Azione 121 min.



In una futuristica Inghilterra, il potere è nelle mani di un governo totalitario che rimbecillisce i propri cittadini a suon di notizie farsa, programmi televisivi servili e coprifuoco alle 10 di sera. A chi disapprova il governo o contravviene alle regole è, ovviamente, riservato un trattamento speciale. Al sistema si oppone un misterioso personaggio che si fa chiamare "V", cui obiettivo finale è far saltare in aria il Parlamento inglese e vendicarsi di alcuni membri del partito che hanno devastato la sua vita.
McTeigue seduce con un mondo dalle pieghe orwelliane (1984), chissà quanto distante ancora dalla realtà nella quale viviamo, e il primordiale richiamo della vendetta, invocata da un personaggio piuttosto fantasioso (il film è tratto, non a caso, da un fumetto di culto). Mixati i due elementi con scene d'azione e colpi d'arti marziali, il successo di pubblico è lì, dietro l'angolo. Ad essere un pelo più smaliziati, ciò non basta per farne un film memorabile. McTeigue ci mette troppo tempo a raccontare gli eventi, e le due ore sembrano non riuscire a contenere tutto ciò che bolle in pentola. La retorica dei diritti e delle libertà, appiccicosa. Le interpretazioni, anonime. "V per Vendetta" è solo un film da noleggiare, vedere una volta e procedere oltre.

★★★☆☆
3/5

venerdì 10 febbraio 2012

FASTER, PUSSYCAT! KILL! KILL!

(Faster, pussycat! Kill! Kill!) Di Russ Meyer. Con Tura Satana, Haji, Lori Williams. USA 1966. Azione, 80 min.



Un trio di spogliarelliste sfreccia attraverso il deserto americano compiendo ogni genere di misfatto. Dopo aver ucciso un giovane in una lite riguardante una corsa di velocità, ne rapiscono la fidanzata, con l'intenzione di usarla come esca per sedurre un vecchio invalido. In qualche angolo della sua vasta proprietà, egli custodisce una ricca pensione sopra la quale le ragazze vogliono mettere le mani.
Dietro una patina grossolana, dove le tette delle protagoniste la fanno da padrone, e ilari scene fanno pensare al preambolo di un film porno, la fatica di Russ Meyer cela un fascino malsano tutto suo. Da alcuni considerato vero cult, “Faster, Pussycat!” pare non conosca alcun freno nella messinscena delle più basse turpitudini. Violenza, raggiro e perversione viaggiano a pari passo con i bolidi di Varla, Rosie e Billie, in un mondo dove i good guys sono destinati ad indossare la maschera dell'umiliazione. Potrebbe essere frainteso per film maschilista. Tutt'altro, qua la femmina raggiunge un'emancipazione che pochi film hanno osato regalare, poiché le si concede di agire esattamente come l'uomo. Imperdibile per gli amanti di Tarantino.

★★★*☆☆
3,5/5

DRIVE

(Drive) Di Nicolas Winding Refn. Con Ryan Gosling, Ron Perlman. USA 2011. Criminale, 95 min.



X, taciturno meccanico ed asso del volante, tira avanti tra lavori in officina e servizi notturni poco limpidi. Il capo sogna di condurlo alla gloria, sfruttandone le abilità di pilota. La sua monotona vita viene rotta dall'incontro con Irina, giovane mamma sposata con un galeotto ispanico. Per regalare serenità alla donna, X decide di aiutare proprio il marito, che come debito da pagare ad alcuni malviventi deve rapinare un'agenzia di pegni. Si troverà invischiato in un pericoloso affare della mafia locale.
Uno dei film più celebrati del 2011, deve il suo appeal soprattutto alla figura del protagonista, un glaciale giustiziere della notte dal passato nebuloso, e alle scene a quattro ruote mozzafiato. Al di là di ciò, poco di nuovo sotto il sole: le iniziali premesse, che fanno respirare l'aria di “Taxi Driver” e di “Punto Zero”, vengono presto tradite da una trama criminale non nuova. Favori dovuti, inghippi, bagni di sangue, rese dei conti: non siamo distanti da numerosi blockbuster d'azione. Per di più, l'etica secondo cui X si muove a tratti pare tutt'altro che credibile. E' buona invece la combinazione del montaggio con una colonna sonora dalle tinte dark, dietro alla quale si cela Angelo Badalamanti. Candidato ad essere oggetto di (probabilmente mediocre) sequel.

★★★☆☆
3/5

domenica 15 gennaio 2012

FITZCARRALDO

(Fitcarraldo) Di Werner Herzog. Con Klaus Kinski, Claudia Cardinale. Germania 1981. Avventura, 150 min.



La storia di Fitzcarraldo e delle sue strampalate idee per farsi ricco nel Sud America dei primi '900, tra ferrovie transandine e fabbriche di produzione di ghiaccio. Tutto ad un solo scopo, tutto per realizzare il suo sogno più grande: costruire un grande teatro dell'Opera in mezzo alla foresta amazzonica. Fitzcarraldo è talmente determinato nei suoi intenti da lanciarsi in una folle avventura col suo battello, alla ricerca di caucciù per misteriose terre verdi, popolate da sanguinari indigeni.
Herzog e Kinski tornano nella parte più buia e profonda del Sud America rincorrendo l'utopia, proprio come in “Aguirre furore di Dio”, qualche anno prima. Ma se nel capolavoro appena citato il regista tedesco partiva da fondate premesse storiche, che infine sfociavano in un incubo, in “Fitzcarraldo” il piglio è più fantasioso, spensierato. E' come se Herzog avesse voluto tornare sui propri passi per rielaborare il vecchio film in modo da far, stavolta, sorridere. Vi riesce perché il personaggio principale, spettacolarmente interpretato dall'istrione Klaus Kinski, è al centro di una centrifuga di esilaranti trovate. Ma non si tratta meramente di umorismo fine a sé stesso. Tutto è teso al delucidare quanto i sogni possano portare lontano, seppur irrealizzabili, e quanto essi possano amalgamare uomini apparentemente tanto distanti. Ancor meglio, forse, si tratta di una genuina dichiarazione d'amore alla musica e alla natura, i quali litigano per contendersi la palma di reale protagonista del film.

★★★★☆
4/5

LA FUGA DI LOGAN

(Logan's run) Di Michael Anderson. Con Michael York, Jenny Agutter. USA 1976. Fantascienza, 120 min.



Nel XXIII secolo la civiltà come oggi la conosciamo non esiste più: annientata da guerre e sovrappopolazione, ciò che rimane della razza umana è una comunità sotterranea, i cui bisogni sono soddisfatti interamente da robot. La regola vuole che coloro che vi appartengono devono abbandonare la città compiuti i trent'anni, a seguito di una misteriosa cerimonia chiamata “carosello”. Non tutti sono però intenzionati ad adempiere all'onere. Logan, sorvegliante del sistema, è chiamato ad indagare riguardo questi ribelli, e a scovare la loro terra promessa, “Santuario”.
Film cult per gli appassionati di sci-fi, dalle seducenti premesse ma dai risvolti altalenanti. Intriga l'idea della setta futuristica, annoia la scialba fuga dell'adepto, infine quasi commuove col raffronto nuovo mondo-vecchio mondo. Pacchiani i costumi, bruttini gli attori, scenografie che ricordano a tratti il palco di un teatro, eppure non ci si sbilancia ad affermare che “La fuga di Logan” abbia avuto un certo influsso sui film di fantascienza posteriori, e che meriti la visione. Il regista, o meglio l'opera al quale si è ispirato, prende evidentemente di mira la società che confida ciecamente nei dogmi religiosi, quali siano legalmente riconosciuti (come il carosello) che banditi (come il santuario). Qualcuno ad Hollywood prima o poi ne farà un remake.

★★★*☆☆
3,5/5

giovedì 12 gennaio 2012

MELANCHOLIA

(Melancholia) Di Lars von Trier. Con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland. Danimarca, Svezia, Germania, 2011. Drammatico, 130 min.




Un pianeta sconosciuto, Melancholia, fa la sua comparsa nel sistema solare. Secondo gli esperti, la sua traiettoria non dovrebbe costituire un problema per la Terra, sebbene la distanza sia drammaticamente ravvicinata. E' il giorno del suo matrimonio, quando Justine avvista nel cielo il misterioso oggetto celeste. Durante il ricevimento, non riesce a trovare serenità, e il programma va a rotoli, con gran delusione della sorella Claire. Si tratta di profonda incertezza nei riguardi del legame col marito, o di un oscuro presentimento? Gli scienziati hanno fatto bene i calcoli con Melancholia?
L'eclettico, sempre discusso, Lars von Trier, riesuma un genere, quello catastrofico, che mai ha dato contributi di rilievo alla storia del cinema, per avviare una spinosa riflessione sulla psicologia di due sorelle con molto poco in comune, eppure indissolubilmente legate. Justine, la sorella fuori dagli schemi, sembra perdere il senno dopo l'avvistamento di Melancholia. In realtà, come si scopre nella seconda parte in qualche breve battuta, la sua inquietudine sembra dettata dalla ripugnanza che prova verso una società che eppure si sente costretta, letteralmente, a sposare. Il fallimento del suo matrimonio, che le piaccia o no, è il fallimento della sua vita sociale. Se fosse abbastanza forte, come la madre, tirerebbe a dritto, fregandosene del giudizio altrui. Probabilmente non lo è, e rimane schiacciata da tale peso. A liberarla da questa oppressione ci pensa niente di meno che l'Armageddon, che accetta serenamente, come inevitabile fine dei propri dilemmi. Claire invece è la sorella di buon senso, che conduce una vita più che agiata, spensierata, in una sorta di castello circondato da un campo da golf. Ben integrata in quella società che Justine disgusta, pure il suo pianto finale, prima di essere polverizzata, pare iper-razionale. Lars von Trier vuole dirci che al giudizio universale arriveranno pronti coloro che hanno vissuto una vita travagliata e condotta con un briciolo di follia, non di certo personaggi come il marito di Claire, talmente intimorito dalla fine da suicidarsi abbandonando meschinamente moglie e figlio. Le ottime inquadrature, spesso in primo piano, riescono a scovare anche quei sentimenti dove le parole degli attori non arrivano, e in questo soprattutto la Dunst si è superata (tant'è che è stata premiata a Cannes). Più che di sconvolgenti immagini in computer grafica (ad eccezione dell'apertura sperimentale), von Trier si è servito del marcio che abbiamo dentro per turbare il sonno dello spettatore.

★★★★*☆
4,5/5