giovedì 1 aprile 2010

IL PROFETA

Un romanzo di formazione...criminale

Regia di Jacques Audiard. Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif
Drammatico,150 min. - Francia, Italia 2009



Storia del diciannovenne Malik El Djebana (Tahar Rahim) , condannato a 6 anni di carcere, per un crimine che non c'è dato sapere. Dai primi mesi travagliati, in solitudine e in debolezza, all'iniziazione da parte di mafiosi corsi, anch'essi detenuti, che lo costringeranno a uccidere un altro prigioniero. La progressiva ascesa nei ranghi della cosca sotterranea, la scuola dove impara a leggere e scrivere, le pericolose missioni durante i permessi premio per buona condotta. Entrato con qualche spicciolo, con stracci come abiti, senza alcun interessato a fargli visita, uscirà dalla casa di pena completamente “riformato”.

“Il profeta” parte da una gelida critica al sistema carcerario, stando ben attento a non strizzare troppo l'occhio ai facili espedienti del genere, per raccontarci la storia della formazione del giovane Malik. E che formazione. Jacques Audiard vuole raccontare come, in gattabuia, al di là delle scuole comprensive interne, dove si lavora con quaderno e penna, la materia che meglio si apprende è quella criminale. In effetti, la vita del giovane detenuto si evolve a doppio binario: da una parte, sul binario “buono”, Malik impara l'alfabeto, conosce il significato dell'amicizia, saggia l'emozione del primo volo d'aereo; dall'altro, sul binario “cattivo”, Malik ha a che fare con traffici di sostanze stupefacenti, pistole, omicidi. Ed è proprio il secondo binario, come bene s'intuisce nella scena finale, ad avere la meglio, in un simile, subdolo, contesto. L'aspetto che più colpisce è probabilmente la lucida spietatezza con la quale i meccanismi malavitosi si svolgono. Lucidissima, perché Audiard, forse aiutato anche da conversazioni che si alternano in 3 lingue diverse e garantiscono una tenuta forte con la realtà, adotta quasi un approccio documentaristico all'argomento. Marsigliesi, regolamenti di conti, mandate di droga da Marbella: siamo di fronte a uno spaccato della criminalità odierna. Con, comunque, qualche concessione più cinematografica: le conversazioni con un fantasma in cella, le azzeccate rappresentazioni oniriche (quasi in stile surrealista), una sparatoria all'americana. Stesso discorso per quanto riguarda il montaggio: una ferrea linearità, fatta tra l'altro di bei primi piani, rotta a sprazzi da un intercalare più pulp. A ben vedere, l'unico vero rimprovero che si può muovere al regista, è quello di mischiare un po' troppo le carte del mazzo, nelle due ore e mezzo di film, correndo il rischio di disorientare lo spettatore. Un formato più smart, avrebbe reso i suoi significati (ancor) più diretti al cuore.

VOTO:7

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