sabato 5 febbraio 2011

I CINQUE STELLE DI TRONCO CINEMA: TAXI DRIVER

Di Martin Scorsese. Con Robert De Niro, Harvey Keitel, Jodie Foster. USA 1976. Drammatico, 113 min.



Un taxi transita per le buie strade della notte newyorkese. Alla sua guida c'è il 26enne Travis Bickle, ex-marine reduce del Vietnam. Travis soffre di depressione e insonnia, e passa le sue giornate in completa solitudine, scrivendo appunti sul suo diario e frequentando cinema a luci rosse. Si sente calato in un mondo nel quale non si rispecchia, e dove l'unica luce è Betsy, bionda attivista politica del candidato presidenziale Palentine. Travis riesce ad ottenere da lei un appuntamento, ma Betsy si rende presto conto di avere a che fare con un disturbato. Abbandonato, e in preda ormai completamente alla follia, il tassista decide di fare i conti, a modo suo, con la società che l'ha emarginato.

Una delle prime gemme di Scorsese (3 anni prima aveva dato vita al superbo "Mean Street"), cult che il tempo pare abbia reso ancor più celebre tra le nuove generazioni, forse per la sua immutata attualità in senso sociologico. "Taxi Driver" è il grido lancinante dell'uomo alienato, che affoga nella decadenza morale contemporanea, aleggiante tra i grattacieli delle grandi metropoli. Una "feccia", composta da politici, rapinatori e lenoni, che Travis fa fatica a guardare pure dallo specchietto retrovisore, e che preferisce rifuggire rinchiudendosi in romantiche fantasie, o dandosi alla pornografia. Esattamente, come dice Betsy, in piena contraddizione. La sua apparente mansuetudine giace su benzina, e sarà sufficiente la scintilla provocata dalle spalle che gli darà Betsy, per far divampare altissime fiamme. Allora ecco che la fata diviene nientemeno che la prostituta tredicenne Iris (giovanissima Jody Foster), vittima, come Travis, del feroce branco. Ma se Betsy avrebbe potuto portare ad una conciliazione più "rosa" con il resto del mondo, e riecco la contraddizione, Iris traccia un percorso ben più ardimentoso per il nostro, percorso più "rosso" che "rosa". Non c'è bisogno di attendere l'esplosivo finale per far salire il livello dell'adrenalina: tutta l'opera è imbevuta di una palpabile paranoia tale da mantenere la tensione alta già dai primi minuti.
Il capolavoro di Scorsese è ovviamente anche il capolavoro di De Niro. Praticamente one-man show, presente in quasi tutte le scene, l'attore, per calarsi meglio nel personaggio, studiò le malattie mentali e per qualche mese lavorò come tassista. Dando volto ad un fragile personaggio logorato dalla solitudine, la sua scena davanti allo specchio è una delle più celebri della storia del cinema.
Non chiaro se la conclusione sia frutto dell'immaginazione di Travis o corrisponda effettivamente alla realtà. Se si accede a quest'ultima interpretazione, allora Scorsese ha voluto puntare il dito verso una società capace di acclamare un folle come "eroe del giorno", quando il passo alla definizione "assassino criminale" sarebbe stato brevissimo. Nei secondi finali si può notare come gli occhi del tassista tornino a luccicare, da dietro il finestrino: segno che la riconciliazione coi suoi simili non è del tutto avvenuta, e che forse le strade di New York necessitino ancora di uno "spazzino" che le ripulisca dalla squallida feccia.

★★★★★
5/5

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